MORTE DI UN GIUSTO

Un rantolo nella notte.

Una notte qualsiasi, di un anno qualsiasi, con un rantolo cessò una vita travagliata, ma felice, di sofferenza, ma serena.
“Tonino… che hai? Tirati su che respiri meglio. “
Si affrettò a dirgli la moglie accendendo la luce, ma non vedendo alcuna reazione, subito pensò ad una delle ricorrenti crisi cardiache, prese a fare tutta quella serie di atti, ormai abituali, per prepararlo al ricovero in ospedale: telefonare al 113, preparare la biancheria, il curriculum clinico, per una più pronta terapia. Faceva tutto ciò mentre lui restava immobile sul letto e la casa era preda della consueta agitazione.
È mezzanotte. S’ode in distanza l’urlo della sirena dell’autoambulanza che si avvicina. Pochi minuti ed il dottore con i portantini infilano l’uscio ed entrano nella stanza.
Il medico si avvicina al letto. Una rapida occhiata e l’apposizione della mano sul collo sono sufficienti all’occhio professionale per costatare ben altro che la solita crisi. Mentre il dottore si rendeva conto della gravità della situazione, la moglie gli enunciava le condizioni cliniche del marito, come, ormai, si era abituata nelle numerose volte precedenti, con la calma della consapevolezza. Il dottore ascoltava e si preparava mentalmente a dirle la verità. Anche se ciò fa parte del proprio lavoro, vi sono cose alle quali non ci si abitua tanto facilmente.
“Signora… si segga. Mi spiace… ma non c’è più nulla da fare.”
“Non… c’è più nulla da fare? Ma… guardi che si sbaglia… non è la prima volta che…”
“Signora, si calmi, non c’è più niente da fare.”

L’angoscia allora la sommerse, la disperazione s’impadronì di lei, ma… niente gesti eccessivi, niente scene estreme. Il tutto aveva una sua misura e compostezza che, oltre al forte carattere, dobbiamo ascrivere alla preparazione, più o meno, consapevole dell’arrivo del momento conclusivo. Erano più di venticinque anni che, mentalmente, era preparata. Lei aveva accettato questa situazione per amore, per vero amore, ed ora, che questo momento era giunto, il dolore era sì grande, ma temprato da questa lunga angoscia, da questa lunga attesa del prematuro epilogo finale.

Adesso lui era lì, quasi alla vigilia delle nozze d’argento, immobile, con i lineamenti del volto, per nulla turbati dall’improvviso arrivo di “Lei”, finalmente distesi per avere, infine, concluso una vita di sofferenze e di privazioni, causategli dal male che si trascinava fin dall’età di dieci anni. Avrebbe voluto resistere ancora un po’ per il secondo figlio, ancora minorenne, la prima, si era da poco sposata ed era riuscito ad avere la gioia di condurla all’altare, con la consapevolezza di affidarla in buone mani. Ma non è stato così.

Nella disgrazia della sua malattia, ha avuto la fortuna di incontrare una donna che gli ha reso ciò che da un’altra parte gli era stato tolto. Questa donna che, ora, davanti alla sua immobilità, rivedeva in rapidissima successione tutta la loro vita e che, in fondo in fondo, pensava: “Adesso non soffrirà più”.

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