Era già da un po’ di tempo che Andrea provava delle sensazioni strane, che non sapeva ben definire.
Non riusciva più a dormire con regolarità e quando si svegliava, la sua mente cominciava a fluttuare da un pensiero ad un altro, pensieri che spesso si sovrappongono senza nessun nesso logico, apparendo e scomparendo in continuazione.
Non era una sensazione nuova. Già numerose volte, nella sua vita, gli era accaduto di rincorrere i suoi pensieri nel silenzioso buio della notte.
Adesso, però, il fenomeno era più frequente e più duraturo e ciò gli procurava uno stato ansioso.
Come suo solito, non ne ha fatto menzione ad alcuno, preferendo affrontare il problema, se di problema si può parlare, da solo.
Nella sua mente continuano ad affacciarsi, in maniera confusa e tumultuosa, molte situazioni vissute e/o sognate nel corso della sua vita e tutte sono analizzate, esaminate, giudicate e criticate con il senno degli anni trascorsi e con il rimpianto delle occasioni perdute.
Dopo i cinquanta anni è noto che ognuno di noi può incorrere in questi stati d’animo, poiché l’avanzare dell’età, riduce inevitabilmente le occasioni di vivere nuove esperienze e le possibilità di sfruttare le opportunità che ti si presentano.
Tutto ciò può indurre uno stato psicologico negativo, se non addirittura depressivo.
Questa, infatti, è un’età in cui, invece di far programmi per il futuro, si fanno i bilanci del passato ed a volte si è molto severi con sé stessi.
Si ripercorrono le tappe più importanti della propria vita e si è tentati di giustificare con le scelte fatte, indotte sempre da fattori esterni, se il percorso, morale e materiale, della propria esistenza, non è stato quello che avresti voluto.
Nel profondo della nostra coscienza, laddove nessuno può vedere ed ascoltare (anche noi stessi, a volte), sappiamo che non è proprio così.
Quando si è giovani, i sogni sono tanti, le aspirazioni pure e sembrano a portata di mano, perché il tempo a nostra disposizione appare tanto… e non si è ancora compreso che quello che appare abbondante, velocemente scompare.
Questo si capisce solo quando il tempo che resta è poco ed il suo trascorrere è sempre più veloce, confermando la teoria della relatività di Einstein.
Anche questa mattina Andrea si era alzato con questo turbine di sensazioni che gli roteavano ancora nella mente.
Decide, allora, di uscire e di fare una lunga camminata, con l’illusione che l’aria del mattino e la confusione della città che si sveglia, possa contribuire a distrarlo ed a rilassarlo.
Si veste in fretta, apre l’uscio, scende le scale e via nella strada, quasi a volersi mimetizzare in mezzo alla gente frettolosa e nella confusione del traffico per sciogliere, così, le sue ansie.
Camminando senza meta, inizia a fare una specie di gioco. Cerca di guardare con attenzione tutte le persone che incontra, ne scruta i volti, gli sguardi, ne esamina gli atteggiamenti, quasi a voler riconoscere anche negli altri le sue sensazioni ed i suoi stati d’animo, facendo, così, un confronto virtuale tra loro e sé.
La prima cosa che nota è che tutti, più o meno, hanno i lineamenti del volto tirati, difficilmente sorridono anche se parlano fra loro, si muovono con movimenti nervosi e scattanti.
“Beh! Sono in buona compagnia, a quanto pare!” “non sono il solo”.
Dice fra sé e sé.
Si ferma all’incrocio. Il semaforo è rosso.
Le auto scorrono veloci, per poi fermarsi pochi metri più avanti, al prossimo semaforo.
La gente si accalca sulle strisce, sbuffa, guarda l’orologio ed il semaforo che sembra non diventare mai verde.
Infine cambia colore e tutti si protendono in avanti con un andamento frenetico.
“Correte, correte, tanto i vostri problemi corrono con voi”. Mentre pensa queste cose, si accorge di aver fatto una battuta con la quale inizia a fare il solito gioco di distinguersi dagli altri: “Io non sono come voi, i miei problemi sono altri, più importanti di quelli di prendere l’autobus, di andare al lavoro, di compiacere i vostri superiori”. “Però, chi lo sa? Io buona parte della vita l’ho vissuta, ho lavorato, mi sono sposato, ho avuto dei figli, tanti di questi non sanno ancora cosa li attende, coltivano le speranze e le illusioni che io non ho più e, forse, quando avranno la mia età potrebbero sentirsi peggio di me”.
Continua a procedere senza meta, quando sente un rumore di lamiere e vetri rotti. Si volta e vede due vetture che si sono scontrate. I rispettivi conducenti cominciano ad inveire uno contro l’altro, rischiando di venire alle mani, nonostante il loro aspetto signorile, appunto…, solo l’aspetto.
Mentre fa per proseguire, ancora rivolto verso il luogo dell’incidente, inciampa nelle gambe di una persona sdraiata sul marciapiede, rischiando di rovinare sull’asfalto.
D’istinto, si scusa della disattenzione e l’uomo quasi sdraiato su dei cartoni, per nulla infastidito, accetta le sue scuse con un cenno del capo e lo guarda con gli occhi che spuntano attraverso una barba incolta ed i capelli lunghi ed arruffati e gli sorride, con qualche dente in meno, come se volesse compatirlo perché non era nemmeno in grado di vedere dove metteva i piedi.
Andrea si allontana velocemente, rimuginando:
“Ma guarda questo sudicio barbone, non solo vive per strada ammorbandoci con le sue puzzolenti esalazioni, ma si permette pure di dileggiarmi con quel suo stolto sorriso sdentato!” “giusto… perché sei vecchio ed indigente…”
“Ma…sarà poi così vecchio come sembra? In quelle condizioni fisiche tutti sembrano più vecchi. Mi sa che avrà più o meno la mia età. Però, lui mi ha sorriso ed io mi sono irritato perché mi stava facendo cadere…Ehi! Io ho i miei problemi e tu mi ridi in faccia, ma va…! Però, cavolo, lui mi ha sorriso, io non mi sono fatto nulla, io mi sono arrabbiato e lui…ride. Che ci avrà da ridere così conciato, senza famiglia, senza casa, senza soldi, senza niente di quello che “conta”. Ridotto a mendicare una minestra e quando è possibile un tetto dove dormire”.
Sbuffa più volte.
“Però c…o, lui ha riso ed io… no! C’è qualcosa che non quadra in tutto questo”.
“Ho altre cose cui pensare…”
Riprende a camminare ed a rimuginare, ma con meno convinzione di prima.
L’aria si è fatta più tiepida ed un pallido sole si affaccia dalle nubi. La gente continua a camminare indaffarata, ora sono aumentate le donne che recano sporte e borse per la spesa. S’incontrano anche mamme con i bambini nelle carrozzine. Ecco, ce n’è una laggiù che gli sta andando incontro. Man mano che si avvicina, Andrea si accorge che il bambino ospitato nella carrozzina ha un’età non compatibile con il passeggino che lo ospita. Fa appena a tempo a fare questa considerazione che si rende conto che quel bambino non è normale, purtroppo. Gli si fa incontro, guardando senza guardare né lui, né la madre che lo sospinge. Inevitabilmente, giunti a diretto contatto, gli sguardi s’incrociano e seppure per pochi istanti egli ha la possibilità di vedere che entrambi, in diverso modo, gli sorridono!
“Mio dio! Anche loro. Ma che ci avranno da sorridere, con quella tragedia! Il bambino non se ne renderà conto… ma la madre…”
Tira dritto.
Il suo passo comincia a non esser più lo stesso. I suoi pensieri cominciano a non essere più gli stessi.
Si è fatta l’ora di pranzo e decide di riposarsi un po’ accomodandosi in un bar dove potrà mangiare un panino e prendere un caffè.
Si siede ad un tavolino situato in fondo al bar, rivolto verso l’entrata.
Quanta gente attraversa quella porta: è l’ora dell’uscita dalle scuole, dell’intervallo negli uffici.
Mentre faceva queste considerazioni banali, entra nel bar un piccolo gruppo di ragazzi, chiaramente studenti di una scuola media a giudicare dagli zaini e dall’età. Con la confusione tipica di quegli anni, aggrediscono il barista che stenta a capire cosa vogliono. Alla fine riesce a servirli ed uno ad uno prendono posto nei tavolini vicini ad Andrea.
Sono allegri ed ancora spensierati, non gli arrecano fastidio.
Gli ultimi due si siedono proprio di fronte a lui. Uno dei due ha un atteggiamento molto accondiscendente nei confronti dell’altro, premuroso e quasi protettivo. Appena questo ultimo si siede, egli si accorge che è un ragazzo down, uno di quelli la cui diversità non è così grave da impedirgli di vivere una vita di relazione “normale”. Dal comportamento dei suoi compagni, si vede chiaramente che essi, senza sacrificio, lo considerano uno di loro a tutti gli effetti, aiutandolo senza che ciò sembri un atto di pietismo.
“Però, che bravi questi ragazzi. Fortunatamente ce ne sono ancora di quelli che hanno buoni sentimenti e praticano la solidarietà verso i “meno” fortunati”.
Mentre faceva queste considerazioni che gli sollevavano l’animo, il ragazzo down, comincia ad addentare il suo panino, ma inavvertitamente, una parte di esso cade per terra e nel risollevarsi dopo averla raccolta, lo guarda, con quegli occhi buoni che hanno le persone semplici, in pace con sé stessi e con gli altri e gli dice: ” succede anche a me!” lanciandogli un sorriso aperto, su quel viso dai lineamenti particolari.
I loro occhi si fissano per qualche secondo. Quella frase pronunciata da quel ragazzo aveva la forza di una battuta autoironica. Andrea scosso e divertito, nello stesso tempo, non poté fare a meno di sciogliersi in un sorriso che gli venne spontaneo, dal profondo del cuore, misto ad un’emozione coinvolgente.
“Ecco un altro che mi sorride, che non dovrebbe aver alcun motivo di sorridere. Oddio… sto andando in confusione. Perché oggi tanti che non sono “normali”, mi sorridono ed io che mi ritengo “normale”, non ne sono più capace?”
La situazione lo ha evidentemente imbarazzato. Finisce il suo panino. Si alza, non senza salutare il ragazzo ed i suoi compagni. Paga il conto ed infila la porta, come se volesse scappare e lasciarsi in fretta alle spalle quella situazione che lo aveva frastornato.
Continua a girovagare ancora per un po’. I pensieri che ora gli frullano per la mente, sono ben diversi da quelli di poche ore prima.
Stranamente, anche le persone che incontra non gli sembrano più così frenetiche e nervose come gli apparivano la mattina.
Riesce, piano piano a comprendere che la sua situazione psicologica è frutto solo del suo egoismo, è la conseguenza di porre al centro di tutte le sue azioni solo il suo “Ego”, mentre ci sono molte altre realtà che vivono in pace con la propria coscienza, nonostante problemi ben più gravi di quelli lamentati da lui. Non possono permettersi, quindi, di inventare dei falsi problemi psicologici, di deprimersi, di compiangersi, perché hanno scoperto quello che Andrea cerca: la vita deve essere vissuta per quello che è, per quello che ti offre e per quello che tu sei capace di prendere e dare. I rimpianti, i rimorsi, le recriminazioni, i se, i ma, non contano e non servono a nulla. I primi artefici della nostra vita siamo noi stessi ed essa sarebbe andata, anche se su binari diversi, sempre in un’unica direzione: quella imposta da noi stessi.
Arrovellandosi con questi pensieri, Andrea è ormai giunto al portone di casa. Sua moglie dovrebbe essere tornata dal lavoro.
Sale le scale. Infila la chiave nella toppa. Apre la porta.
La moglie si affaccia dalla cucina:
“Ciao amore.”
Con uno sguardo affettuoso.
“Dove sei stato?”
Nel tono della voce c’era come una consapevolezza dei suoi turbamenti. Certe cose non si possono nascondere a chi ti ama.
“Sono stato in giro per diverse ore”.
“Ah si? E come mai, per tanto tempo?”
“Ero in cerca di qualcosa e di qualcuno!”
“E…”
Dopo una pausa più eloquente delle parole.
“L’hai trovati?”
“Sì!”
“Ho trovato il senso della vita ed ho ritrovato me stesso”.
Dopo una breve pausa:
“Bravo amore, non avevo dubbi…”
“Che cosa facciamo per cena?”
La vita, quella vera, continua.