IL QUADRO DEL NONNO

 

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Sono seduto alla scrivania dello studio, avvolto dal silenzio ovattato della stanza, interrotto, a tratti, dal cinguettio degli uccelli che frequentano il giardino che, a causa della mitezza di un inverno anomalo, mostra, in anticipo, i segni del risveglio primaverile.

Come spesso mi accade, lo sguardo si rivolge ad un quadro ad olio, posto sulla parete di fianco a sinistra, di piccole dimensioni, all’incirca 60 per 45 cm, che raffigura una scena bucolica. Nel centro campeggia, in modo tale da essere l’elemento preponderante della scena, un bue dal mantello bianco grigio, accovacciato sull’erba, rivolto verso sinistra.

L’atteggiamento di quiete e placida tranquillità dell’animale è ben evidente: esso è stato appena liberato dal giogo del carro con grandi ruote, alte fino alle sponde, situato alla sua destra.

Poco lontano, in posizione defilata, sul margine destro della tela, un contadino lo guarda, assaporando, anche lui, la piacevole sensazione della fine della giornata lavorativa.

Fanno da sfondo, in lontananza, al limitare del campo erboso, degli alberi d’alto fusto che sovrastano una folta macchia.

Tutta quest’idilliaca scena è illuminata da una soffusa luce, pressoché uniforme che insieme al tenue azzurro del cielo, con rade nuvole bianche, fa presumere che manchi poco al calar della sera.

Questa tela dipinta dal mio nonno materno, probabilmente prima degli anni quaranta e, quindi, della mia nascita, è uno dei sei quadri che sono rimasti a mia madre. Essa ha sempre esercitato su di me una gran suggestione, per la capacità di trasfondere, in chi lo vede, un senso di pace e di beatitudine che la semplice scena evoca, grazie alle qualità pittoriche del nonno ed alla sua maestria nel disegno.

Per questo motivo, quando mi sono trasferito, nel millenovecentottantaquatro, da mia madre, rimasta vedova, ho chiesto a lei di poterlo appendere nello studio, nella mia porzione di casa.

Un’occhiata lanciata su questa tela ha il potere di rilassarmi. È come se si aprisse una finestra su uno scenario completamente difforme dalla mia quotidianità. Idealmente sono proiettato anch’io in quel luogo, superando il confine tra la realtà e l’immaginazione. Mi seggo sul verde prato, per godere a mia volta di quella dolce atmosfera, dei suoi colori e dei suoi odori, perfino, lasciandomi tutto alle spalle.

C’è, poi, un altro motivo all’origine dell’attaccamento a questo quadro: quello affettivo.

Mio nonno, professore di disegno, pittore e scultore, viveva lontano da me, nella costiera sorrentina ed è morto, quando ero ancora bambino. Questa sua opera e le altre in nostro possesso, tra cui c’è un mio ritratto eseguito nel millenovecentoquarantotto, da una foto realizzata in uno studio fotografico quando avevo circa quattro anni, come si usava negli anni 40 e 50, rappresentano un visuale filo della memoria che mi lega a lui. Non ho ricordi d’altra natura, per la sporadicità della nostra frequentazione, tranne quello, rimastomi impresso, della sua salma composta sul letto!

Era già avanti con gli anni, quando morì ed oggi, che sono avanti anch’io con gli anni, sento forte il rimpianto di non aver potuto beneficiare di quel nonno, quel tanto che sarebbe bastato a conoscerlo per assimilare la sua ricchezza umana e spirituale, di cui solo i quadri e i disegni mi restano a testimonianza.

 

 

http://digilander.libero.it/interactivearchive/carducci_bove.htm

 

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