Una luce fredda e abbastanza forte da essere impietosa, illumina l’angusto corridoio antistante alla porta sulla quale campeggia una grande scritta: ”Centro di terapia intensiva”, segue il nome della direttrice.
Lo sguardo ritorna frequente su questa targa, sulla quale, fino a poche ore prima, non avrei mai pensato di soffermarmi.
———————————–
Era una bella giornata di sole.
La sera precedente e parte della notte era piovuto incessantemente e ciò aveva indotto a consigliare a Francesco di rientrare a Roma il mattino successivo, dopo aver trascorso la fine settimana con la sua ragazza nella casa di campagna dei suoi genitori.
Francesco accetta il consiglio e la mattina di lunedì si avvia verso Roma per riprendere il suo lavoro.
Il tempo era decisamente migliorato ed un tiepido sole settembrino illuminava il percorso compiuto già numerose volte.
Dopo pochi chilometri, in una successione talmente veloce di avvenimenti, tale da non lasciare nemmeno il tempo di tentare una manovra per evitare la collisione, un’auto che procedeva in senso contrario perde il controllo e colpisce quasi frontalmente la vettura di Francesco, con risultati disastrosi, per la violenza dell’impatto.
Francesco resta intrappolato nella macchina con numerose e vistose ferite, dalle quali perde molto sangue. I soccorsi sono tempestivi. I vigili del fuoco devono tagliare le lamiere per estrarlo dall’abitacolo. La gravità delle ferite aveva già messo in moto la richiesta di un’eliambulanza, che, accorsa prontamente da Viterbo, era nell’attesa che Francesco fosse messo in condizioni di esser trasportato, dai concitati ed efficaci interventi d’urgenza in loco.
Pochi minuti di volo e l’elicottero atterra nell’ospedale. Gli sono praticate le prime e più urgenti cure. Resterà sotto i ferri per circa otto ore. Ne uscirà senza la milza, con trauma al fegato e a un polmone con conseguente pneumotorace, con numerose e gravi fratture, in particolare agli arti inferiori, di cui un femore, quello sinistro, è letteralmente “disintegrato”, per usare un’espressione dello stesso ortopedico. A tutto ciò si deve aggiungere la gran perdita di sangue dovute alle ferite interne ed articolari. Bastavano pochi minuti di ritardo e Francesco non sarebbe giunto vivo all’ospedale.
L’unica nota positiva, in questo sconcertante quadro, è che la TAC ripetuta più volte, anche nei giorni seguenti ha escluso danni cerebrali, anche se era giunto cosciente all’ospedale, ma questi possono presentarsi anche a 24/48 ore di distanza.
La solidarietà di numerosi amici e parenti ha sopperito alle numerose trasfusioni che sono occorse a Francesco per stabilizzarlo e ricostituire valori accettabili di emoglobina e fibrinogeno.
——————————-
Tutto questo mi frulla nella mente, mentre sto seduto di fronte alla porta, rigidamente chiusa a chiave, del reparto di rianimazione, accanto alla madre, al padre di Francesco e alla fidanzata, in preda ad uno stato di frustrazione e di sconforto.
Francesco è sì in buone mani, ma le sue condizioni generali, nei primi 3/4 giorni, potrebbero condurre a un risultato esiziale e nessuno dei medici, trincerati dietro la riserva della prognosi, azzarda una previsione, anche timidamente fiduciosa.
Il mio pensiero corre anche alle circostanze dell’incidente: Francesco non è partito la sera precedente perché il tempo era inclemente e la pioggia molto forte, cosicché si è presentato puntuale all’appuntamento con il pericolo, com’era scritto nell’agenda di non so chi, o del destino o di come altro si voglia chiamare…
Insieme con lui, in una grande stanza con dodici letti, altrettante persone sono arroccate sull’ultimo baluardo, nella quale si combatte per la vita: qualcuno perderà la battaglia…!
In un’altalena snervante e perversa di emozioni, trascorre la prima settimana, nel corso della quale dopo aver tolto l’intubazione, si cominciano a trattare le varie fratture che non è stato possibile curare durante la terapia d’urgenza: prima lo zigomo, poi il gomito e infine, parzialmente il femore sinistro, per oltre quattro ore. Questo intervento sarà completato in seguito, perché, allo stato, il fisico non è in condizioni di sopportare l’intera durata dell’operazione, stimata in dieci ore!
Quando tutto sembrava andare per il verso giusto, sopraggiunge un’infezione e le condizioni generali ritornano a livello di rischio elevato.
I genitori e noi tutti ricadiamo nel baratro dello sconforto: tutto procedeva verso la normalizzazione, si parlava già di un prossimo trasferimento ad un reparto “normale”, invece ci troviamo di nuovo davanti al fantasma del pericolo ed a quel tristo personaggio che sfoglia l’agenda delle nostre vite!
La permanenza nella rianimazione si allunga.
Trascorrono altri giorni, in cui speranze e timori si avvicendano nei nostri pensieri. Alla fine anche il germe patogeno all’origine della grave infezione, sembra accusare i colpi della terapia mirata e rientrare negli oscuri e mefitici meandri da cui era uscito.
Lo strazio si protrae ancora qualche giorno: ne sono trascorsi venti dall’incidente.
Un pomeriggio, prima dell’ora abituale per la visita ai pazienti e i colloqui con i dottori, quella porta sempre chiusa, che nei giorni trascorsi aveva rappresentato il confine fisico tra la vita e la morte, si apre.
Esce la dottoressa direttrice del reparto in compagnia di un dottore. A noi, seduti sulle sedie di fronte, appare con il volto meno tirato e corrucciato del solito, mentre parla con il suo collega. Ho appena il tempo di pensare che la circostanza non avesse certo importanza per noi, quando lei si gira verso la mamma di Francesco e quello che era un accenno si trasforma in un sorriso aperto, su un volto disteso e sereno.
Francesco ha vinto la battaglia!
La “guerra” della vita continua!