IL SOGNO

Carlo è un uomo sposato con Elena da cui ha avuto due bei figli maschi.

La sua vita è trascorsa, fino ad oggi, lietamente, con gli alti e bassi cui ognuno di noi va incontro durante il suo percorso esistenziale e che fanno parte del “sale” della vita.

Si può affermare, senza dubbio, che egli si ritenga soddisfatto, sia del profondo sentimento d’amore che lo lega ad Elena, sia dei suoi figli che tante soddisfazioni gli hanno dato e sia del suo lavoro, dove le sue capacità sono state riconosciute e gratificate con una discreta carriera, pur non avendo ancora compiuto i cinquanta anni.

Purtroppo, come sovente accade, in questo percorso, che appare lineare e senza ostacoli, dietro l’angolo si può nascondere un evento imprevedibile o, almeno, inatteso perché, scioccamente, ognuno di noi si sente immune da certi problemi che, inconsciamente, pensa debbano sempre interessare gli “altri”, quegli altri di cui siamo parte integrante e che, a loro volta, la pensano allo stesso modo!

Carlo da circa un mese lamenta dei disturbi vaghi, indefinibili ma frequenti, tanto da decidersi ad andare dal medico di famiglia per parlarne, facendo violenza a sé stesso, tanta è la sua idiosincrasia per i medici e le medicine in generale.

Come prevedibile, data la genericità dei suoi disturbi, il medico gli prescrive una serie di analisi per fare un primo e più preciso quadro della sua condizione fisiologica.

Carlo, “obtorto collo”, si sottopone a tutte le analisi prescritte senza ancora farne parola con Elena: < per ora non è necessario che si preoccupi, magari inutilmente!> pensa.

Sarà, invece, costretto a parlarne, quando il medico, controllate le analisi, esprime qualche dubbio che richiede un approfondimento da uno specialista che può fugarli o rilevare l’insorgere di un cancro allo stato iniziale che, proprio per questo, può essere efficacemente trattato e curato, prima che diventi più aggressivo e pericoloso.

“Sono andato a farmi visitare da uno specialista oncologo, come consigliatomi dal nostro medico, il quale ne ha condiviso i dubbi e mi ha prescritto degli esami approfonditi con degli strumenti tecnologici di ultima generazione. Non resta, quindi, che attendere l’esito di questi esami per avere le risposte definitive!”

Così, in maniera fredda e distaccata, Carlo ha informato Elena che da parte sua l’ha confortato dicendogli, con grande delicatezza e con un tono di voce rassicurante:

“Vedrai che non sarà nulla di grave o d’irreparabile, non ti preoccupare: affronteremo e supereremo anche questa cosa…”

“Speriamo tu abbia ragione… Elena!” replica Carlo con voce che non nasconde lo sconforto che prova a dover entrare nel tunnel della “malattia” per antonomasia, quella che più terrorizza: il cancro!

Gli esami e le visite si susseguono, finché non s’individua che l’origine dei suoi disturbi risiede nella milza, organo nel quale è stata identificata la neoplasia.

“I tumori della milza in gran parte sono benigni; facilmente curabili chirurgicamente e nella sua fattispecie, propendo per un emangioma e ci muoveremo in questa direzione con le applicazioni cui la sottoporrò!”

Questa è la prima diagnosi del medico espressa a Carlo e ad Elena, con un tatto inusuale per uno specialista, che dimostra la gran sensibilità che ha verso i propri pazienti, ben conoscendo l’influsso psicologico negativo che provoca, sempre e comunque, la notizia di avere un “tumore”.

Carlo, infatti, non fa eccezione, anzi la notizia di avere un mostro “alieno” nel suo corpo lo sconvolge, anche se si sforza di minimizzare ed affronti tutte le cure del caso e gli inevitabili effetti collaterali sempre con manifesto ottimismo, mentre dentro di sé l’angoscia, spesso, prevale.

Le notti costituiscono i momenti peggiori per lui, nel suo cervello si scatenano i pensieri più nefasti e le considerazioni più tragiche: l’insonnia è diventata più deleteria del male che, nel frattempo, subisce gli assalti dei farmaci e delle terapie per contrastarlo.

L’ansia e la depressione progrediscono più del “mostro” e, inconsciamente, collaborano con esso dandogli una mano a vincere la battaglia.

Elena si era accorta di tutto ciò e cerca di stargli vicino il più possibile per infondergli il coraggio e la forza necessaria per reagire alla patologia, per combatterla anche con la volontà.

“Devi convincerti di poter riuscire a dominare la malattia, di vincerla, anche questa è una cura, non lasciarti andare amor mio, non farlo, pensa a me, ai nostri figli, fargli vedere che uomo sei e che non hai paura di “lui”.

Carlo risponde sempre rassicurandola, ma Elena si rende conto che non è abbastanza.

Una notte, dopo alcuni mesi di terapia intensa, Carlo si sveglia all’improvviso, con un sussulto e tutto sudato si solleva seduto sul letto.

Elena che dormiva anche lei tesa e sempre pronta ad avvertire qualsiasi respiro o movimento strano si alza anche lei sul letto ed abbraccia Carlo:“Che c’è amore, che succede, perché ti sei svegliato di soprassalto?” gli dice con un’inevitabile apprensione.

“Niente cara, niente!” risponde affannato.

“Come niente, salti sul letto, sei sudato e con il respiro ansimante e mi dici niente?”

Sì, sì hai ragione, intendo niente che abbia a che fare con la malattia… ho solo avuto un brutto sogno, anzi un incubo che mi ha spaventato.”

“Ah, hai avuto un incubo. Ti va di raccontarmelo se te lo ricordi?” gli chiede per fargli scaricare la tensione.

“Certo che me lo ricordo, era proprio spaventoso!”

“Prova a descrivermelo, dai…”

“Aspetta vado in cucina a bere un bicchiere d’acqua e poi ti racconto.”

“Vengo anch’io, un po’ d’acqua farà bene anche a me che sono spaventata.”

Quando sono in cucina, dopo aver bevuto, si siedono al tavolo, uno di fronte l’altra.

Una pausa silenziosa, durante la quale si guardano negli occhi, poi Carlo inizia:

“La prima cosa che ricordo è che mi trovavo in territorio sconosciuto, senza confini fisici, avvolto da una luce azzurrina, tetra, quasi una nebbia tenue colorata, poi ricordo chiaramente che stavo camminando all’interno di due rotaie di cui non vedevo l’inizio, ma cominciavo a scorgerne la fine.”

“Le rotaie? Che cosa significavano?” chiede Elena

“Non lo so, posso solo immaginare che erano un segno che mi diceva di andare verso quella parte dove lontano si vedeva una costruzione. Forse era una specie di presentimento che stavo imboccando una strada da cui non sarei tornato. Per un momento, pensa come sono strani i sogni, ho immaginato di esser morto, ricordando tutti coloro che sono stati sul punto di morire che, poi, hanno detto di essere entrati in un tunnel, che li conduceva verso un fascio di luce vivida e rassicurante. Mi son detto: non può essere così, questa è una luce scialba, verdolina e inquietante. Intanto continuavo a procedere lungo le rotaie, finché ho iniziato a distinguere la costruzione dove terminavano senza che fra esse ci fosse alcun nesso funzionale.”

“Una costruzione?” chiede stupita Elena.

“Sì, una porzione di un edificio che nulla aveva a che fare con un binario, era come un corridoio di un chiostro di un monastero, in stile gotico con gli archi a sesto acuto ed il pavimento a mosaico.”

“Per essere un incubo te lo ricordi fin troppo bene!” gli dice Elena, interrompendolo.

“Già e non è tutto!” dice Carlo che beve ancora un po’ d’acqua per poi riprendere il racconto, mentre la moglie lo guarda stupita.

“In fondo a questo corridoio c’era una figura vestita di nero, sembrava che indossasse un saio da frate, con il cappuccio alzato a coprirgli parte del capo, ma non era proprio così. Il ricordo qui si fa labile, perché quello che mi ha impressionato, anzi terrorizzato, è stato ciò che sporgeva dal cappuccio. Ho i brividi a dirlo, era la parte anteriore della testa di un avvoltoio, grande ritto in piedi, come fosse un essere umano con la testa ed il becco adunco dell’avvoltoio: mi si sono impressi gli occhi grifagni e l’atteggiamento di questa mostruosa figura che sembrava aspettare che io entrassi nel corridoio e giungessi fino a lui! A questo punto mi sono svegliato.”

“Mamma mia che brutto incubo che hai avuto, sembra quasi un racconto dell’orrore intriso di simboli esoterici e demoniaci.” fa Elena.

“Hai ragione e credo che questo incubo sia quasi premonitore e come se contenesse un messaggio che mi vuol far capire che se mollo, se cedo psicologicamente al male, agli effetti delle terapie e alla depressione, questa sarà la mia fine: incamminarmi in un territorio sconosciuto verso un mostro simile a quello che dentro di me vuole annientarmi e una volta giunto vicino ad esso, non avrei più scampo!”

Questa interpretazione dell’incubo, pur se fantasiosa e surreale, contiene una gran verità quella che Elena gli va dicendo da mesi e lei è ora contenta che finalmente Carlo l’abbia compreso.

Da quel giorno Carlo ha affrontato con ben altro spirito il percorso curativo del male e quando gli hanno sospeso la chemioterapia, ha ripreso ancora più forza d’animo. Rivedersi con i capelli ricresciuti e con i dolori scomparsi gli ha dato una carica di ottimismo tale da fargli credere di poter essere sicuramente più forte del “mostro” annidatosi dentro di lui.

Quando questa condizione si è consolidata ed i medici hanno potuto stabilire, grazie ai risultati confortanti delle ultime analisi, che il male era stato debellato definitivamente, Carlo non ha potuto fare a meno di ripensare a quel “sogno” fatto anni prima e in preda ad una comprensibile euforia, ha detto ad alta voce:

“Tiè (facendo il gesto dell’ombrello), brutto uccellaccio demoniaco del cazzo, per questa volta ti è andata male e… quando sarà, non sarai tu a ricevermi oltre il binario!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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