Stralcio dall’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam

Desidero sottoporre alla vostra lettura ed alle vostre considerazioni questo breve brano che ho tratto dall’”Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam. (cap. 50)

L’opera, nonostante sia stata scritta 500 anni fa, conserva il suo vigore intellettuale grazie ai suo paradossi dissacranti ed è ancora in grado di fornirci spunti riflessivi e proposizioni condivisibili.

Il brano in questione riguarda gli scrittori in generale ed è di un’arguzia disarmante quanto reale.

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Della medesima pasta sono anche questi altri che rincorrono una fama immortale mediante la pubblicazione di libri. Tutti mi sono largamente debitori (a Follia n.d.r.), ma specialmente chi imbratta carte con pure e semplici sciocchezze. Infatti gli scrittori dotti, che mirano al giudizio di pochi intenditori senza rifiutare né Persio né Lelio (Persio: sommo erudita, Lelio: una nullità rispetto al primo. n.d.r.), a me almeno sembrano più da compiangere che non gente felice,per i continui tormenti che s’infliggono. Aggiungono, cambiano, tolgono,scartano, riprendono, rifondono, mostrano, occultano per nove anni, mai soddisfatti; e una futile ricompensa, ossia un elogio, e di pochissime persone, viene da loro comprato a un prezzo esorbitante, tante veglie, tanta perdita di sonno(la cosa più dolce del mondo), tanti sudori, tanti crucci. Aggiungi ancora lo sciupio della saluta, la perdita della bellezza, la miopia, la povertà, la gelosia, l’astinenza dai piaceri, la vecchiaia precoce, la morte prematura e via dicendo. Con tante sciagure quel saggio stima di dover comprare l’approvazione di un paio di cisposi! Quanto più felice invece il mio scrittore nei suoi vaneggiamenti! Senza alcuno studio, subito, egli affida alla scrittura come gli viene in mente ciò che gli capita sotto la penna, anche i suoi deliri, con un lievissimo spreco di carta. Sa che più sciocche sciocchezze si scrivono, tanto più si sarà apprezzati dalla gran massa, ossia dalla totalità dei folli e degli ignoranti. Perché infatti preoccuparsi dello spregio di tre esperti, ammesso che li leggano? Quale valore avrà il voto di così scarsi intenditori in una folla così sterminata di plaudenti? Ma ancora più saggi coloro che pubblicano come propri scritti altrui e trasferiscono su di sé, con parole, una gloria acquistata da altri a gran fatica, evidentemente fidando sul fatto che anche con la peggiore accusa di plagio lucreranno intanto per qualche tempo un bel guadagno.

Val la pena di osservare come si compiacciono delle lodi del volgo, di essere additati tra la folla:” Ecco lì quell’uomo famoso!”; di essere esposti in vetrina nelle librerie, coi loro nomi stampati in testa a ogni pagina, tanto più se stranieri e cabalistici! Ma per gli dei immortali. che altro sono, se non nomi? e quanto pochi li conosceranno, se si tiene conto dell’immensità della terra, e ancor meno li elogeranno, tanto sono diversi i gusti anche degli ignoranti. E che dire dell’uso non raro d’inventare i nomi stessi o di riprenderli da libri antichi? C’è chi gode di farsi chiamare Telemaco o Steleno o Laerte, Policrate o Trasimaco; per cui conta ormai poco o nulla se s’intitola un libro Camaleonte o Zucca, ovvero con un alfa e una beta, secondo il linguaggio dei filosofi.

 

Ma il colmo dello spasso è quando si esaltano a vicenda con scambi di lettere, carmi, elogi rivolti da folli a folli, da ignoranti a ignoranti. Uno esce dall’approvazione di un altro come un Alceo. e quello dall’approvazione dell’altro come un Callimaco(poeti arcaici greci e alessandrini, n.d.r.). Per uno, l’altro è più grande di Marco Tullio, e per quest’altro lui è più dotto di Platone. A volte si cercano anche un antagonista per gonfiare con la sfida la propria fama; allora “si scinde il volgo incerto in due contrarie passioni”, fino a che i due caporioni si ritirano entrambi vincitori dopo un glorioso combattimento e celebrano entrambi il trionfo. Ne ridono i saggi, come di cose assolutamente folli: e lo sono, come no? Ma intanto grazie a me (Follia ndr)quelli passano una dolce vita, né sarebbero disposti a scambiare i propri trionfi nemmeno con gli Scipioni. Né i dotti stessi, mentre con gran piacere del loro spirito ridono di queste cose e profittano della follia altrui, anch’essi mi sono non poco debitori, né potrebbero negarlo se non a costo di essere di tutti i più ingrati.

 

 

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