I NONNI

Sono noto nel gruppo dei miei intimi, per avere scarsa memoria degli episodi, più o meno recenti, relativi alla mia vita e non solo.

Mi succede, spesso, che parenti ed amici rievochino avvenimenti di un comune passato, che  sembra non mi riguardino affatto.

Sono, frequentemente, additato come: “L’uomo senza memoria”.

La verità è che io non ricordo gli avvenimenti cui, consciamente o meno, non attribuisco particolare importanza e, pertanto, tendo a rimuoverli.

Ricordo, invece e questo vale per tutti, i fatti e gli episodi che hanno avuto un grande impatto emotivo o che mi hanno trasmesso delle forti suggestioni, tali da essere degne di fissarsi nel “disco rigido” del mio cervello.

In questa situazione, non fanno eccezione nemmeno le figure dei miei nonni.

Tutti, risiedevano lontano da Roma, nella penisola sorrentina.

Il nonno paterno era morto molto giovane, in conseguenza delle ferite riportate nella Grande Guerra, quando mio padre era ancora un bambino.

Il nonno materno è scomparso, quando non avevo ancora otto anni e lo ricordo vagamente solo sul letto di morte

Gli unici nonni che ho frequentato saltuariamente, per via della distanza, sono state le nonne. La nonna paterna, Maria, in minor misura, perché quando si andava al paese, in particolare d’estate con mia madre, si era ospiti della nonna materna, Concetta.

La nonna Maria, tra l’altro, non aveva un carattere facile, la tragedia della prematura scomparsa del marito, che l’aveva resa vedova a poco più di trent’anni e con quattro figli da accudire, l’aveva segnata nell’animo per tutta la vita. Ricordo, questo sì, il racconto fattomi, quando ero ancora piccolo, di quello che avvenne quando comunicarono a Maria che suo marito Vincenzo era morto.

Tutta la popolazione del piccolo paese, che placidamente si affaccia sul golfo di Napoli, a pochi chilometri dal più celebre Sorrento, partecipò, muta ed attonita, all’immenso dolore che la condusse ad un passo dalla follia. Lo strazio indicibile di cui fu preda, si manifestò con urla altisonanti e con una furia distruttiva nei confronti di tutti gli oggetti che aveva a portata di mano che, nonostante l’esile corporatura, prese a scagliare, con la forza della disperazione, oltre la finestra, per rovinare, con schianto, nella piazza principale del paese.

Poi, finalmente, dopo un tempo che sembrò lunghissimo, qualcuno riuscì a contenerla ed a calmarla, prima che fosse lei stessa a superare quella finestra, per ricongiungersi all’amato marito.

Non era facile convivere con lei, perché era spesso preda di crisi nervose e, quindi, a parte i saluti e le visite fugaci, i nostri rapporti erano sempre di poca durata.

L’unica, con cui ho avuto un rapporto più pieno e più assimilabile a quello nonna/nipote, è stata: nonna Concetta.

Le mie permanenze presso la nonna, come detto, erano limitate, per lo più al periodo delle vacanze estive, specialmente quando ero ragazzo. Poi, per diversi anni, il rituale delle vacanze s’interruppe, per dei dissapori fra la mia famiglia e quella della sorella di mio padre, che negli stessi periodi era ospite di nonna Maria. Cosicché s’arrestò anche quella continuità nella discontinuità ed ebbi sempre più sporadici contatti, con nonna Concetta.

Questo finché non presi la patente che liberandomi dalla schiavitù dei treni, mi consentì una maggiore e più elastica mobilità.

Durante una visita compiuta, quando ormai ero “grande”, ci fu un giorno in cui, mia nonna ed io, restammo soli in casa. Era questa, una circostanza insolita, perché la casa di mia nonna era molto frequentata, non solo da altre due sue figlie, che vivevano nel paese, ma anche da numerosi nipoti, parenti ed amici vari. Mia nonna godeva di un gran rispetto nel paese, per la sua lunga attività di maestra e per il lustro che il nonno Francesco, professore di disegno e belle arti, aveva dato in tutte le chiese del circondario e del sud Italia, con i suoi quadri e le sue sculture, d’oggetto religioso.

Quel pomeriggio, inaspettatamente, nonna iniziò a raccontarmi del nonno, di come si erano conosciuti, di come si erano “innamorati” e di come avevano cominciato la vita insieme. Il tutto nel contesto sociale ed umano della Città di Napoli all’inizio del 1900.

Mi mostrò un pacco di lettere e cartoline che il nonno le inviava con notevole frequenza. Appena presi in mano queste lettere, ancor prima di leggerne il contenuto, rimasi stupito ed incantato dalla grafia con la quale erano scritte: un corsivo stilato con il pennino, che era di una perfezione tecnica incredibile, in gran parte dovuta alle qualità sopraffine che il nonno aveva nelle arti figurative, ma in parte, anche, enfatizzata dalle dolci e tenere espressioni che rivolgeva a mia nonna, con un candore, con una leggiadria e con un sentimento a me sconosciuti, che mi fecero una tenerezza indicibile. Non posso nemmeno lontanamente rappresentare le sensazioni che mi trasmise la nonna quando lesse qualcuna di quelle lettere.

La porta della confidenza con il giovane nipote si era ormai aperta e nonna Concetta, continuò a volare con le ali della sua memoria, raccontandomi tanti episodi ed aneddoti che, purtroppo, non ricordo, tranne uno: il più incredibile e tenero dialogo d’amore che abbia mai sentito.

Cercherò di creare l’atmosfera di quell’episodio cui si riferì mia nonna.

Concetta e Francesco giunsero al matrimonio, specialmente lui, non giovanissimi. Entrambi provenivano da famiglie, una volta agiate, in cui le tradizioni e la formazione religiosa avevano un peso importante. Nessuno dei due, vantava una benché minima conoscenza sessuale, né tanto meno un’esperienza specifica, per quanto superficiale. Nemmeno la famosa battuta: ”Cara, la mamma non ti ha detto nulla?”, era pertinente con la situazione in cui si trovarono gli sposini dopo le nozze, perché, nessuna mamma, o chi per lei, aveva detto niente, o quasi, ad entrambi.

Nonna, nel raccontarmi gli imbarazzi reciproci sul da farsi e la timidezza di Francesco in particolare, mi disse che fu lei a prendere l’iniziativa ed a dire al marito: ”Francesco, mi sa che questa è la strada che devi seguire”, indicandogli il basso ventre “È questa, la strada, vieni”.

Il ricordo di questo candido, dolce e struggente colloquio d’amore, fra due persone già adulte, ancora oggi mi procura un brivido, anche per la dolcezza e la semplicità con cui mi fu raccontato.

I miei nonni, dopo aver trovato “la strada”, ebbero otto figli, di cui due morti ancora in fasce.

 

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