Marco ed io, c’incontrammo, il primo pomeriggio di un mercoledì di settembre, in un punto prestabilito, dal quale prendere le mosse per la programmata gita in moto che ci avrebbe condotto da Roma, attraversando il Parco nazionale d’Abruzzo, il Molise e la Puglia, fino a S. Maria di Leuca, per poi ritornare attraverso la Basilicata e la Campania.
Il tempo era buono, la temperatura di fine estate, ancora gradevole, tutto lasciava presagire uno svolgimento del viaggio divertente, piacevole ed interessante, considerato l’itinerario, nel quale avevamo cercato d’inserire percorsi naturalistici di sicura bellezza e visite a cittadine e siti storici d’indubbio interesse, anche artistico.
Dopo aver goduto delle bellezze paesaggistiche e naturali del Parco nazionale d’Abruzzo, facemmo sosta per la prima notte a Campobasso. L’indomani avremmo raggiunto il Gargano per poi proseguire lungo la costa adriatica pugliese, dove contavamo di fare la seconda sosta, laddove ci avrebbe sorpresi il tramonto, mentre inseguivamo la curiosità ed il desiderio di godere delle attrattive del nostro paese.
Sistematici in un albergo, senza pretese, ma dignitoso, abbiamo chiesto al gestore un consiglio su un buon ristorante, possibilmente dedito alla cucina locale, per poter soddisfare anche le non meno importanti curiosità gastronomiche oltre a quelle paesaggistiche/culturali. Doveva essere, infatti, un viaggio dedicato alla cultura, in tutte le sue accezioni. Il cibo del corpo ha pari dignità di quello dell’anima!
Nel ristorante consigliatoci consumammo un’ottima cena, al cui termine, soddisfatti e ritemprati, ci mettemmo a definire i particolari della tappa del giorno successivo.
Fu in quel frangente che Marco mi chiese se sarei stato disponibile a fare una deviazione, dal programma di massima originario. Mi dichiarai d’accordo. I viaggi in moto, infatti, hanno, fra le loro qualità, anche quella di non essere vincolati più di tanto, dal traffico, dagli orari e quindi, ti consentono una grande elasticità di movimento.
“Che deviazione vuoi fare, Marco? Ti è venuta in mente una località degna di visita, di cui non mi hai parlato?” Ci fu solo un attimo d’esitazione
“Veramente sì. Non è un posto come quelli che già abbiamo visto e che vedremo… ma, è sicuramente degno di visita, per motivi religiosi, e personali. Non so se tu vuoi o no condividere questa deviazione per farmi piacere.”
“Dimmi di che si tratta, poi, vediamo…”
“Sergio, quando, per qualsiasi motivo, io mi trovo vicino alla Puglia, non posso non andare a S. Giovanni Rotondo, fosse pure per una visita rapida, ma non posso…non farlo. È un imperativo che mi viene dall’anima, al quale non posso che ubbidire”.
Conoscendo Marco, da tanti anni, anche se le nostre frequentazioni non sono state assidue e profonde come un’amicizia vissuta e coltivata, questa sua affermazione mi meravigliò, non ravvisando in lui nessuna delle caratteristiche che avrei imputato ad un credente, per di più devoto di Padre Pio. Questa richiesta, quindi, in stridente contrasto con quel che credevo di conoscere di lui, m’incuriosì, ma, d’altro canto, cercai di trattenermi dal chiedergli i motivi, perché avevo intuito che si trattava di uno stato d’animo serio e molto personale e non volevo mostrare una curiosità, forse inopportuna ed indiscreta.
Non fu necessario. Subito dopo una breve pausa, Marco continuò:
“Io sono un figlio spirituale di Padre Pio, poi ti spiegherò perché e come ci sono diventato, adesso paghiamo il conto e torniamo in albergo.”
“Sì, va bene.”
Chiamai il proprietario e come depositario della cassa comune, saldai il conto e ci avviammo all’albergo, dimenticando l’argomento.
Più tardi, quando già c’eravamo messi a letto e spente le luci, ripensai a quanto mi aveva detto Marco, chiedendomi:
<Figlio spirituale? Che vorrà dire!>
La figura e la vicenda di Padre Pio, mi ha sempre incuriosito ed affascinato, per il seguito che ha avuto, per l’aura di mistero che circondava la sua persona, per le “sacre” ferite che lo hanno tormentato e per i poteri taumaturgici e divinatori che gli erano attribuiti, ma non avevo mai sentito questa definizione, o forse, non ci avevo mai fatto caso più di tanto.
<Abbiamo molto tempo a disposizione, una leggera deviazione non ci comporterà un granché e, poi, sarà l’occasione per vedere uno dei luoghi più frequentati e celebrati della cristianità. Anche se sono, sostanzialmente, un laico, sarà un’esperienza in più!>
Il giorno dopo, di buon’ora, eravamo pronti. Accendemmo le nostre moto e casco in… resta, ci siamo avviati verso la Puglia, in direzione del Gargano. Nel pomeriggio, saremmo andati a S. Giovanni Rotondo.
Dopo aver girato per quasi tutta la penisola garganica ed aver fatto un breve bagno in una caletta situata poco dopo Pugnochiuso, iniziammo il “pellegrinaggio” che prevede, questo non lo sapevo e Marco non me l’aveva detto, una prima sosta a Monte S. Angelo, dove c’è un santuario strettamente correlato a S. Giovanni Rotondo, a poco più di 20 km da esso.
Visita in questo santuario, la cui parte più antica è scavata dentro la roccia, insieme a numerosi altri pellegrini.
Cominciai a pentirmi di aver assecondato Marco, ma ormai ero coinvolto totalmente nel “pellegrinaggio”
Raggiungemmo, infine, S. Giovanni Rotondo e ci trovammo immersi in una moltitudine di persone che letteralmente affollava l’ancor piccolo paese.
Data l’ora, decidemmo di cercare un albergo per la notte. Ce n’erano tanti.
“Non dovrebbe essere difficile trovare una camera”. Pensai. Appunto! Ebbi il secondo pentimento.
Grazie, forse, a Padre Pio, dopo aver “bussato” alle porte di diversi alberghi, trovammo chi accolse i “pellegrini” motociclisti!
Quel giorno, ricorreva il 36° anniversario della morte del santo frate. Questo spiegava la moltitudine di persone che si accalcava vicino al santuario e dentro e fuori la nuova grande chiesa a lui dedicata che, per quel poco che ricordo del carattere di Padre Pio, lui vivo, con quelle forme e con quelle strutture da palazzetto dello sport, non avrebbe mai preso corpo!
Ci organizzammo per la cena, ma niente ristorante tipico. Ho scoperto che a S. Giovanni Rotondo, non ci sono né ristoranti, né trattorie, non avrebbero possibilità di sopravvivere. Tutta la massa dei “pellegrini” è organizzata ed ogni albergo provvede al riposo ed al nutrimento dei suoi convenzionati ospiti.
Rimpiangendo, quindi, la cena di Campobasso, consumammo un pasto di sopravvivenza al cui termine Marco riprese il discorso interrotto la sera precedente e mi raccontò la sua storia di “figlio spirituale”.
“Sergio, questa storia parte da molto lontano, quando ero ancora molto piccolo…”
“Io ho una sorella che è nata pochi anni dopo di me. Mia madre, quale conseguenza di questo parto, contrasse una cardiopatia reumatica – aveva solo 29 anni – e questa subdola malattia, negli anni successivi le procurò anche seri danni ai reni.”.
“Mio padre, che è un medico, iniziò a farla visitare dai migliori specialisti dell’epoca ed a farla curare nelle migliori strutture sia in Italia, per i reni, sia in Svizzera, per il cuore. Ma i risultati non si vedevano. Le prognosi erano sempre negative e le condizioni peggioravano lentamente, ma inesorabilmente”.
“Fu per questo motivo, per l’impossibilità di trovare una risposta nella “sua “ medicina che papà, sollecitato dalla madre, si risolse a venire qui, a S. Giovanni Rotondo, a trovare questo umile frate, in odore di santità ed al quale si attribuivano eventi a dir poco eccezionali.”.
“Premetto che mio padre è sempre stato un amante della vita, qualcuno potrebbe definirlo: un gaudente, di cultura laica e scientifica, quindi agli antipodi di coloro i quali cercavano Padre Pio, spinti da una Fede che gli “era” sconosciuta. Per non contraddire la madre si accinse a fare l’inutile passo o, inconsciamente, un estremo tentativo, nella remota speranza che: se ci fosse qualcosa di vero, perché non tentare?”
Marco a questo punto ha fatto una pausa per riprendersi dall’emozione del ricordo
“Ricordo che eravamo mischiati alla folla che attendeva il passaggio del Frate che rientrava in convento dopo aver celebrato, all’alba, la sua quotidiana messa. Quando sentimmo la gente rumoreggiare, comprendemmo che Padre Pio stesse arrivando. Stavamo quasi in prima fila, del corridoio che i devoti avevano lasciato per il suo transito. Giunto alla nostra altezza, Padre Pio si fermò e voltandosi verso mio padre lo apostrofò, con il suo caratteristico linguaggio, dicendogli: “Ah! Finalmente ti sei deciso a venire!”. Lo afferrò, poi, per un braccio e lo trascinò letteralmente, con sé nel convento”.
Guardai intensamente Marco e capii, anche per l’emozione che lo pervadeva, che era totalmente sincero, senza il minimo dubbio.
Gli dissi:
“ Tuo padre non era mai stato a S. Giovanni… ma come faceva… come ha fatto a dirgli quelle cose… come… come…”
Questo episodio, narrato in prima persona da chi l’ha vissuto e sulla quale non ho nessun elemento per affermare che possa mentire o mistificare, mi ha lasciato di stucco ed ha dato una bella scossa al mio agnosticismo.
“Che cosa è successo dopo? Che gli ha detto Padre Pio?”
Lo incalzavo sconvolto.
“Mio padre non mi ha raccontato molto di quello che gli ha detto Padre Pio. Per quel che ricordo, gli ha raccomandato di riavvicinarsi al Cristo, d’essere osservante e gli ha detto di conoscere la situazione della moglie. Papà, sollecitato più volte, fino ad oggi non ha riferito più di questo, come se volesse mantenere un segreto fra sé e quel frate santo. Ricordo, invece, molto bene il turbamento che questo primo incontro gli procurò, come se gli avessero aperto all’improvviso una finestra, inondando di luce la stanza della sua anima, completamente buia”.
“Padre Pio, lo affidò a fra’ Daniele che era uno dei suoi più intimi assistenti. Questi divenne il nostro punto di riferimento e con lui instaurammo un legame d’amicizia negli anni successivi, tant’è che qualche volta Fra’ Daniele fu nostro ospite a Roma”.
“Mio padre divenne, così, anche lui intimo e devoto di padre Pio, che gli ha trasmesso la capacità di accettare il destino che attendeva sua moglie e lo avvicinò alla Fede”.
“Hai incontrato altre volte Padre Pio?”
Mio padre diverse volte nel corso degli anni, io fra i 10 ed i 13 anni, due volte. Ricordo che durante queste visite eravamo preda di sentimenti contrastanti, la speranza si alternava allo sconforto, ci sentivamo avviliti e disillusi perché il problema di mamma non trovava soluzione. Un senso d’angoscia mi prendeva quando mi avviavo verso il convento”.
“Un segno indelebile mi ha lasciato la prima ed unica volta che ho assistito ad una messa celebrata da Padre Pio, dove mi trovai coinvolto in un episodio che, per la giovane età, non comprendevo e che mi ha spaventato. Durante la messa, una donna prese ad urlare ed inveire contro il frate con una voce tremenda ed innaturale. Padre Pio continuò la celebrazione, che allora avveniva dando le spalle ai fedeli, senza curarsene minimamente. Mio padre mi portò fuori e non seppi come andò a finire.”.
Riprendemmo fiato entrambi.
“Marco è così che sei diventato figlio spirituale?”
“Sì e no, questo è l’antefatto, per quanto mi riguarda”.
“Ascolta il seguito”
“Perché, c’è ancora un seguito?”
“Sì!”
Ormai preso dalla storia, gli dissi:“Vai, continua!”
“Fra’ Daniele, l’ultima volta che sono venuto qua, mi disse che mi avrebbe portato a salutare Padre Pio, nella sua cella. La cosa mi fece trasalire, perché sapevo che il frate era molto malato e l’idea di entrare nella sua cella, nella cella di un frate vecchio e malato, che sarebbe stata sicuramente maleodorante, sia per le medicine, sia per le condizioni igieniche del frate, nella mie mente di ragazzo, non mi allettava proprio. Ho cercato con lo sguardo mio padre che mi risparmiasse questo strazio, ma niente, anzi, ha ringraziato fra’ Daniele per l’onore che mi faceva. Puoi ben immaginare come mi sono avvicinato a quell’umile piccola cameretta, nella quale fra’ Daniele, letteralmente, mi proiettò, spingendomi fino al letto di Padre Pio. Con grande stupore, appena dentro, mi sono meravigliato di non avvertire nessuna puzza, come immaginavo, ma un intenso odore, anzi profumo, sì Sergio, era proprio un profumo che non saprei ben descrivere, ma buono ed intenso. Padre Pio mi abbracciò a fatica, mi diede una carezza che fu tale solo perché non aveva la forza per portarla in maniera più energica, com’era il suo solito. Lo salutai. Non lo rividi più. Dopo pochi anni, morì.”
“Quest’abbraccio ti ha reso suo figlio spirituale?”
“Sì presumo che sia questo l’episodio saliente, anche se io mi sono sentito suo “figlio”, diversi anni dopo.”.
“Ma se era morto?”
“Ora viene il pezzo forte!”
“Le condizioni di mia madre continuavano a peggiorare, la sua sopravvivenza era legata alla dialisi, il suo cuore era sempre più malconcio. Una volta, avevo 18 anni, accompagnai mia madre ad una delle periodiche visite cardiologiche. Mamma in quell’occasione, probabilmente condizionata dalle sue malattie, chiese al cardiologo di sottopormi ad una visita accurata, anche perché, all’epoca praticavo regolarmente lo sport del canottaggio, oltre ad altre attività sportive.”.
“Le mamme sono sempre ansiose con i figli”.
Dissi, per stemperare l’atmosfera…
“Già!” Seguì una pausa.
“Ho detto una sciocchezza, vero? Tua madre è morta da tanto tempo e, forse, poco dopo quest’episodio ed io ho detto una battuta fuori luogo!”
“Scusami!”
“No, non ti devi scusare… è che quella visita si rivelò quanto mai opportuna.”.
“Oddio, e perché?”
“Perché quel cardiologo rilevò la presenza di un soffio cardiaco, mai diagnosticato prima, perché fino a quel giorno, niente poteva indurre a pensare che avessi un “problema cardiaco”.
“Marco, io non sono un medico, però ho sempre saputo che il cosiddetto “soffio al cuore”, è piuttosto diffuso e non molto pericoloso, soprattutto nei bambini.”.
“A me quel dottore disse che se non smettevo subito qualsiasi attività sportiva, rischiavo la morte!”
“Addirittura!”
“Sì”
“I miei genitori, anche per l’esperienza di mia madre, mi fecero visitare da altri due specialisti, che emisero la stessa diagnosi”
“Puoi immaginare lo sgomento di mio padre!”
“In uno dei suoi incontri con fra’ Daniele, papà più che mai sconfortato anche per quest’altra situazione, si confidò con lui. Il fedele frate, per tanti anni compagno di Padre Pio, gli disse di non preoccuparsi, che lui aveva un rapporto privilegiato con il frate di Pietralcina, durante le sue orazioni, avrebbe interceduto per Marco”.
“Marco, non sapevo che si potessero chiedere anche le grazie per procura!”
Affermai, facendo venire fuori la mia natura laica.
“Già, nemmeno io!” Rispose
“Trascorse poco più di un mese da questo colloquio con fra’ Daniele quando, mio padre decise di farmi controllare un’altra volta”.
“Mi stai per dire che…”
“Sì! Sergio. Uno dei dottori che mi aveva visitato mesi prima, con suo grande stupore, non rilevò più alcuna anomalia al mio cuore, ripeté gli esami più di una volta, continuava ad auscultare, ma del soffio nessun riscontro, anche strumentale.”.
“La stessa cosa avvenne anche con gli altri due specialisti, i quali anch’essi non solo non trovarono più traccia del “soffio letale”, ma non sapevano dare una spiegazione scientifica di come quest’anomalia, di una certa gravità, fosse scomparsa senza alcun ausilio medico o chirurgico”.
“Eccomi, qua, a quasi quaranta anni di distanza, ancora in piena forma, a girare in moto per l’Italia, io, figlio spirituale di Padre Pio, insieme con un figlio… di…, di che o di chi sei figlio tu?”
Con questa battuta, meritata, si dissolse definitivamente il triste clima che si era creato.
La mattina dopo abbiamo visitato la chiesa di Renzo Piano, liberatasi dalla massa di fedeli che non ci aveva consentito di avvicinarci la sera prima. Questa costruzione,che faccio fatica a chiamare chiesa, non mi ha trasmesso la benché minima emozione, perché Padre Pio non credo che sia lì, in quella fredda struttura di ferro e cemento, ma nel cuore della gente come Marco e nei loro ricordi del passaggio sulla terra di questo straordinario piccolo frate, che ha fatto vacillare menti più dotate della mia.
Abbiamo ripreso le moto e continuato per altri due giorni la nostra gita.
Ma questa è tutta un’altra storia, che non interessa a nessuno.