Attendevo che Patrizia rientrasse dall’ufficio, come tutti i venerdì, in anticipo rispetto al resto della settimana, per proporle di andare a cena a Roma, nel ristorante all’inizio di Via Latina e della via Appia antica, di fronte alle terme di Caracalla, i cui proprietari ci conoscono da quando eravamo fidanzati.
Era non solo venerdì, ma il tre di giugno: la data dell’anniversario del nostro matrimonio.
“Patrizia stasera andiamo da “Orazio”, niente dieta, niente scuse, niente di niente. Si va e basta!”
Non se lo fece ripetere due volte. La concomitanza dell’anniversario con il venerdì senza, quindi, l’angoscia che l’indomani, sarebbe stata costretta alla solita levataccia delle 5,30, hanno fatto sì che accettasse, con un malcelato, quanto, insolito, entusiasmo.
C’è stato tutto il tempo per prepararci, abbiamo chiuso casa, inserito l’allarme e siamo saliti in auto.
La macchina correva veloce sull’autostrada, quasi partecipasse anch’essa alla ricorrenza e ci volesse portare, il più presto possibile, verso quella cena intima.
Complice lo scarso traffico, siamo giunti, entro le nove circa, al ristorante.
Abbiamo avuto il solito scambio di saluti e di cordialità, con i proprietari, i quali, dopo aver saputo che era il nostro trentaquattresimo anniversario di matrimonio, oltre a farci gli auguri di rito, ci hanno approntato un tavolo, in un angolo tranquillo del gazebo situato in giardino, su cui hanno appoggiato un candelabro con due candele rosse.
Ci siamo seduti e senza remore d’alcun genere abbiamo ordinato le pietanze che più gradivamo.
Domenico ci ha servito con la solita solerzia e professionalità, senza indulgere, però, come altre volte, in conversazioni indotte dalla quarantennale conoscenza, avendo cura d’interromperci solo per lo stretto necessario legato al servizio, cercando di essere il più discreto possibile, compreso dell’importanza della ricorrenza.
Man mano che la cena procedeva, l’atmosfera d’intimità prendeva sempre più consistenza. I nostri sguardi s’incrociavano, sempre più spesso, intensi e commossi.
È stato spontaneo e naturale il ritornare con il ricordo a trentaquattro anni fa, quando lei a 23 anni ed io a 27 ci sposammo, bruciando un po’ i tempi, anche per acquistare quell’autonomia e quell’indipendenza che la condizione di fidanzati (all’epoca) non ci consentiva.
È rimasto famoso l’episodio in cui mio suocero, una diecina di giorni prima del matrimonio, diede un sonoro ceffone a Patrizia perché era tornata a casa con mezz’ora di ritardo: alle nove, avendo, così, superato la soglia temporale, oltre la quale iniziavano i comportamenti peccaminosi e lussuriosi.
La nostra decisione, in ogni modo, fu doppiamente tempestiva, perché mio suocero, cardiopatico fin dall’infanzia, morì appena tre mesi dopo il matrimonio, all’età di 52 anni. Era riuscito, almeno, a condurre all’altare la figlia!
Nel corso della cena non sono mancati i gesti di reciproca tenerezza, che quella situazione molto coinvolgente, ci stimolava, come non succedeva da qualche tempo. Più volte ci siamo dati la mano, traguardandoci dietro le candele e ci siamo scambiati, reciprocamente, sentite dichiarazioni d’amore, come due innamorati alle loro prime pulsioni affettive.
Alla fine della cena, appena consumato il dolce, Domenico ci porta di sua iniziativa una bottiglia di Berlucchi, invitandoci a bere alla nostra salute: C’è sembrato giusto, condividere con lui questo brindisi.
Quando si è allontanato, guardando Patrizia, ho ripreso il bicchiere in mano ed in preda ad una forte commozione:
“Adesso facciamo un altro brindisi…a nostro figlio Massimo…il più bel regalo che tu mi abbia fatto, dopo la tua persona, che da tre anni quasi, così lontano per lavoro, in Venezuela, non può più condividere con noi… questi bei momenti …”
Ci siamo entrambi sciolti in lacrime.
Anche se dissimuliamo molto, la sua lontananza ci pesa enormemente, ma è la vita che lui ha scelto e non abbiamo frapposto alcun ostacolo. Ciononostante…
Non so se questo sentimento che lega Patrizia e me, sia il vero amore od il grande amore, come affermano alcuni.
Io, non ho conosciuto molti amori, anzi, uno solo, prima di Patrizia, ma avevo circa diciotto anni ed a quell’età tutto sembra unico, grande ed eterno. Finì, infatti, all’improvviso.
Sicuramente il sentimento che ci lega è qualcosa che gli si avvicina molto.
Abbiamo avuto ed avremo, contrasti, screzi, litigi, tutti durati il tempo di una fiamma di un cerino. Abbiamo avuto momenti belli, felici, anche se la felicità è un concetto difficile da definire.
Ci siamo sempre trovati uniti, non abbiamo mai intaccato quel cemento di fondo che ci tiene saldamente legati, una all’altro.
Ci alziamo dal tavolo, salutiamo Domenico ed i fratelli e tenendoci per mano, ci avviamo verso il parcheggio, nel giardino.
È una sera calma e dolce, la luna occhieggia attraverso gli alberi, mi fermo, accarezzo il viso di Patrizia e con gli occhi inumiditi:
“ Ti amo Patrizia”.
E lei, senza trattenere le lacrime:
“Ti amo Sergio”.
Siamo saliti sull’auto e siamo tornati a casa.
La mezzanotte era trascorsa…cominciava il trentacinquesimo anno di matrimonio.