DAL “SOR AUGUSTO”

È sabato e, come succede spesso, siamo riuniti per una cena a casa d’amici, facenti parte del gruppo consolidato di sodali, con i quali ci si frequenta da oltre trenta anni.

Questa simpatica e gratificante consuetudine, si ripete con notevole frequenza, ora in una casa, ora in un’altra e costituisce un indubbio collante delle relazioni sociali ed interpersonali.

Grazie alla disponibilità di alcuni del gruppo, votati con maggior inclinazione all’arte culinaria ed organizzati logisticamente per ricevere anche compagnie molto numerose, le occasioni conviviali sono molto frequenti. Gli invitati sono sempre ben assortiti e ben disposti a “far onore” ai cuochi di turno.

Molte volte, durante questi convivi si programmano gite turistiche, culturali e/o naturali, che, ovviamente, contemplano pranzi e cene, anch’essi finalizzati ad approfondire le culture enogastronomiche dei luoghi visitati insieme.

Altre volte, le nostre riunioni sono concertate con un rapido giro di telefonate e si svolgono nei ristoranti di Roma, che hanno riscosso la nostra fiducia circa la qualità e bontà della loro cucina.

Essendo tutti dei buongustai e, alcuni di noi, anche dei buoni cuochi, non facciamo sconti a nessuno e se ritorniamo con piacere in un locale, vuol dire che gli abbiamo assegnato un numero di “stelle e/o di forchette”, tale da inserirlo nella nostra ipotetica graduatoria.

Uno di questi è il ristorante: “Sor Augusto”.

Esso è situato nella parte più caratteristica di Trastevere e, nemmeno a dirlo, è specializzato nella cucina romana tradizionale.

Durante la cena, si svolge l’ormai consueto copione. Si conversa di politica, argomento sul quale sono spesso bersagliato e amichevolmente sbeffeggiato, perché sono quasi l’unico, del giro degli amici storici, ad essere dalla “parte sbagliata”, a “destra”. Da sempre, liberale convinto, i miei amici, perseguono con ostinata, quanto vana, pervicacia, il tentativo di farmi “ravvedere”, trascinandomi nella polemica politica, alla quale non mi sottraggo, anche per non farli sentire “soli” con loro stessi e per ricordargli che, fortunatamente, c’è qualcuno che la pensa anche diversamente.

Si parla, poi, anche di fatti personali e comuni, come avviene solitamente fra amici di lunga data. Solitamente, si finisce per  parlare di cucina, di pietanze, di ristoranti e specialità alimentari.

Questo argomento, mi offre l’occasione di proporre di tornare a mangiare, nei prossimi giorni, dal “Sor Augusto”, visto che ci mancavamo da qualche mese.

L’idea, nemmeno a dirlo, è subito accolta con piacere. Stabiliamo di andarci dopo due settimane, con l’intesa di avvisare anche gli altri amici non presenti.

Quando l’elenco dei partecipanti è definito, prenoto un tavolo: siamo quindici persone. L’idea di tornare a mangiare dal Sor Augusto, raccoglie, sempre, molti consensi e solo chi ha precedenti impegni, deve, a malincuore, rinunciare.

L’appuntamento è per le otto e mezza davanti al ristorante.

Come il solito, giungiamo tutti puntuali e dopo i consueti saluti e convenevoli entriamo nel locale, dove un cameriere c’indica il tavolo preparato per noi.

Il locale non è molto grande, come tutti quelli del centro storico ed ha una capienza di circa sessanta persone.

Tutto è come mi ricordavo: gli arredi essenziali, le bottiglie di vino in bella mostra sulle pareti, le luci discrete e la gigantografia del “sor Augusto” in perfetta tenuta da ristoratore, con tanto di pancia e parannanza, che campeggia sulla parete vicina alla cassa, all’angolo estremo del locale dove, a fianco, si apre la porta basculante che dà sulla cucina.

L’hanno spostata, però. Prima stava appesa fra le altre foto di personaggi, più o meno celebri, che si erano seduti ai suoi tavoli, sulla parete grande, di fronte all’entrata ed era più visibile.

“Chissà perché!” Mi chiedo.

Anche l’odore che pervade l’ambiente, non più contaminato dal fumo, è lo stesso che ricordavo: coinvolgente ed accattivante, messaggero delle buone leccornie preparate e supervisionate dal valido ristoratore, figlio d’arte ed erede di una tradizione secolare.

Dopo esserci seduti, avverto una strana sensazione. Ne parlo con Carmelo

“Carmelo, è strano che il sor Augusto ancora non si sia fatto vedere. È sempre così premuroso nei confronti dei clienti.”

“È vero, Sergio…forse, non c’è, stasera. Aspetta che ora chiamo il cameriere e glielo chiedo”.

“Cameriere!”

“Dica signore, siete pronti per ordinare?”

“Sì, siamo quasi pronti…siamo in quindici, ci vuole ancora un po’ di tempo”. Gli dice.

“Ma, non l’abbiamo chiamata per questo. Non abbiamo visto Augusto, volevamo sapere se stasera c’è…magari sta in cucina. Sa, non è la prima volta che veniamo e lei, è nuovo del locale. C’è sembrato strano che non si fosse avvicinato al tavolo, com’è solito fare, sia per salutarci, sia per consigliarci.”.

Il cameriere rimane perplesso e noi non capiamo perché e si dirige verso un signore che stava alla cassa. Anch’egli è un volto nuovo.

“Mi sa che c’è toccato il cameriere “sveglio”.  Dice Carmelo

“Ho anch’io quest’impressione.” Rispondo

Il signore, dopo aver brevemente parlato con il cameriere, s’avvicina al tavolo e, con un fare molto cordiale, ci dice:

“Signori buonasera, mi chiamo Antonio e vi prego di scusarmi se non sono venuto subito a salutarvi. Angelo, il cameriere, mi ha riferito che avete chiesto del sor Augusto…” Segue una pausa.

“Il sor Augusto…purtroppo…è morto improvvisamente, circa quattro mesi fa ed io, d’intesa con i figli, sono subentrato nella gestione del ristorante con l’impegno di mantenere inalterata la secolare tradizione di qualità che lo ha sempre contraddistinto”.

“Signor Antonio che ci dice…! Che brutta notizia!” Replica Carmelo ed a lui fanno eco tutti gli amici.

“Sì, una grande disgrazia. La famiglia del sor Augusto in quasi cento anni d’attività, dai nonni, subito dopo la Grande Guerra, ai genitori e fino a lui ed alla compianta signora Marisa si sono guadagnati la stima di tutto il quartiere e non solo, per la loro cucina. Adesso, spetta a me portare avanti e mantenere inalterata questa bella tradizione, che fa parte della cultura e della memoria di Trastevere”.

“Speriamo tutti noi vivamente che lei prosegua sulla strada del sor Augusto. La gente che riempie il ristorante è già un buon segno, mi pare”. Disse Carmelo.

“Adesso la mettiamo alla prova… e noi non siamo tipi che si accontentano facilmente, né di bocca buona”.  Dico al signor Antonio, sorridendo.

“Non vi preoccupate signori, che qui ci ritornerete sicuramente. Adesso lasciate fare a me…ve l’organizzo io la cena. Intanto vi mando dei fiori di zucca, dei filetti di baccalà, dei carciofi alla giudia e qualche verdura sott’olio preparata da noi… ci penso io!”

“Mirella, Patrizia, mi ha fatto una buona impressione…voi che dite?”

“Sì, anche a noi, ora vediamo e, soprattutto, assaggiamo!”

La cena prosegue in un crescendo rossiniano. La sinfonia di sapori e di varietà delle pietanze, che Antonio ci offre, è veramente all’altezza del sor Augusto e non c’è nessuno di noi che non si dichiari soddisfatto ed appagato.

Mentre la cena procede nella consueta allegria, che sempre caratterizza la nostra comitiva, rivolgo più volte lo sguardo verso la foto del sor Augusto, che con il suo aspetto pacioso e sorridente sembrava partecipasse e si compiacesse del nostro gradimento. Mi accorgo anche di un’altra cosa, a cui non avevo prestato subito importanza: il tavolino sotto la foto è apparecchiato come se fosse nell’attesa di un avventore, c’è una bottiglia d’acqua ed una di vino, il pane, ma non vi si è ancora seduto nessuno.

Nell’intervallo fra i primi piatti, che sono stati quattro assaggi per tutti, d’altrettante paste diverse (carbonara, gricia, cacio e pepe e pasta e ceci), noto che Angelo, il cameriere, ha posato sul tavolino solitario e privo di cliente un piatto di pasta, pasta e ceci per l’appunto.

“Forse è la cena del signor Antonio, penso, anche se la circostanza sembra molto strana. Di norma i ristoratori mangiano sempre prima dell’arrivo dei clienti!”

Ci portano, intanto, i secondi con i contorni. Su quel tavolo arriva di tutto: coda alla vaccinara, braciole d’abbacchio alla scottadito e fritte, fegatelli di maiale alla brace, ed un piatto, da dividere fra noi, di coratella con i carciofi. Antonio si era veramente impegnato a fare bella figura e non faceva altro che andare e venire dalla cucina. Seguono, poi, la cicoria ripassata in padella, i broccoletti, qualche patata al forno ed un’insalatiera di puntarelle.

Durante questo diluvio di pietanze, mi alzo per andare al bagno, per lavarmi le mani unte dall’abbacchio. Solo mangiandolo con le mani si gusta con il massimo della soddisfazione. Passo vicino al tavolino e vedo che la scodella della pasta e ceci è vuota, con il cucchiaio poggiato dentro.

“Possibile che non mi sia accorto di chi abbia mangiato la pasta e ceci?” Mi dico meravigliato ed un po’ frastornato.

Appena esco dal bagno, incontro Antonio che portava via il piatto e gli dissi:

“Vedo che anche lei ha mangiato la pasta e ceci!”

“Veramente io ho già mangiato…”

Mi risponde, con l’espressione di chi aveva detto una cosa che non doveva.

Non fa in tempo ad allontanarsi che subito gli chiedo:

“Ma chi l’ha mangiata, allora? Se non mi sbaglio non ho veduto nessuno sedersi al tavolo…”

Non faccio in tempo a continuare, che Antonio, con la mano libera, mi prende il braccio destro e mi chiede di seguirlo in cucina.

Interdetto per lo strano atteggiamento d’Antonio, ma curioso, lo seguo in buon ordine.

“Prego, Antonio, mi deve forse dire qualcosa che gli altri non devono sentire?”

“Sì!” Dice, assumendo un’espressione molto seria.

“Lei è un cliente abituale, che conosceva bene il sor Augusto e lo apprezzava per le sue doti umane e le sue capacità culinarie e voglio metterla a parte di un segreto, di uno strano segreto che conosciamo solo noi addetti in cucina ed il cameriere Angelo, quell’altro, che è meno sveglio di Angelo, non se n’è ancora accorto e noi, non abbiamo alcuna intenzione di parlargliene…”

Prende fiato per un attimo, come se facesse fatica a respirare, è visibilmente emozionato.

“Quando riaprimmo il ristorante, dopo la morte di Augusto, i suoi figli, il personale ed io, eravamo molto preoccupati sull’effetto che la sua prematura fine, potesse avere sulla clientela e temevamo, quindi, per il futuro del ristorante. Era pur vero che il sor Augusto si occupava della cucina in maniera meno attiva che per il passato, ma la sua costante presenza, la sua continua supervisione su quanto avveniva in cucina e la sua scrupolosità nel verificare tutto, dalla spesa al modo di cucinare, di preparare e di servire le pietanze, costituivano una garanzia sul mantenimento dell’eccellenza dei suoi piatti, guadagnata in tanti anni di duro e appassionato lavoro. Sì appassionato… Spesso il sor Augusto era solito affermare a chi gli chiedeva il segreto della sua ottima cucina…”

Lo interrompo e ripeto io l’affermazione del sor Augusto:

“Eh…caro signore…io co’ li fornelli, co’ la carne, co’ le verdure, co’ la cucina tutta…io ce parlo, come n’innamorato co’ la su regazza, e più ce parlo, più quella me se scioglie tra le braccia, fino a facce l’amore.”

Tanti anni fa disse anche a me queste considerazioni, con le quale mi conquistò e mi convinse che uno così, che cucinava col cuore, non poteva che farlo bene.

Antonio, mi guarda sorpreso e soddisfatto. Ora è convinto di aver fatto bene a parlarmi del “segreto”.

“È vero, diceva spesso le stesse parole che lei ha detto adesso e quando le pronunciava aveva gli occhi lucidi”.

<Tutto quello che mi ha detto, però, ancora non spiega quell’aria di mistero che Antonio aveva anticipato.> Penso.

“Ecco…tutto questo era un’indispensabile premessa per arrivare al punto…”

S’affretta a dire, Antonio, leggendo la perplessità nei miei occhi.

“Nei primi giorni di ripresa dell’attività, come ho già detto, temevamo di perdere la clientela, specialmente quella più affezionata, che conosceva e frequentava il ristorante da tempo. Allora, un giorno, ebbi un’idea stupida e strampalata. In quel clima d’incertezza e di dubbi sul nostro futuro, poteva anche avere un significato scaramantico”.

“Un’idea strampalata?” Dico “E che mai poteva essere?”

Antonio, sempre riprendendo fiato, continua:

“Ecco, presi la foto del sor Augusto, che lei conosce e la spostai dove la vede adesso. Presi un tavolino piccolo e glielo misi di fronte, sempre apparecchiato e pronto all’uso, con l’acqua e con il vino, il vero Cannellino di Frascati, che a lui piaceva tanto. Su quel tavolo, quando prepariamo le sue specialità più famose, ne poggiamo una porzione, in segno di buon augurio e d’omaggio. Faccia conto che i piatti siano un segno di devozione, come si fa normalmente con i fiori davanti alla foto di un defunto, solo che nel suo caso…mi sembrava più giusto…e più adatto alla sua personalità ed alla sua vita dedicata alla ristorazione, dei fiori”

“Bella, altro che stupida, è una bella e commovente idea, segno di gran sensibilità da parte sua…anzi…la trovo un’idea grandiosa. Altro che fiori, davanti ad un maestro come lui in segno di deferenza: un giorno un piatto d’amatriciana, un altro di carbonara, la coda, l’abbacchio, la pasta e ceci di stasera… e… a proposito, ma non mi ha spiegato chi s’è mangiata la pasta e ceci del defunto…non mi pare carino, dopo quanto mi ha detto…”

Antonio, tentennando e con imbarazzo.

“Ecco, questo è il segreto, la pasta e ceci non l’ha mangiata nessuno…di noi. Questo dubbio l’ebbi anch’io la prima volta che vidi il piatto messo sul tavolo, solo per un’intenzione celebrativa…vuoto…”

“È una cosa accaduta altre volte, allora”.  Dico strabiliato ed incredulo.

“Sì, succede sempre!”

“Sempre?” ripeto con una punta d’ironia che fortunatamente Antonio non coglie. Mi sarebbe dispiaciuto mortificarlo.

“Allora secondo lei…chi mangia quello che mettete sul tavolo del sor Augusto…il sor Augusto, forse?”

Mi pento quasi subito di aver usato un tono ironico.

“Sì, sono sicuro, è proprio il sor Augusto che dall’aldilà, viene a farci visita e mangiando quello che gli prepariamo…è come se ci dicesse – bravi, state continuando bene per la mia strada, se l’ho mangiato, vuol dire che è buono come quello che facevo io…”

La frase si smorza nella gola d’Antonio, per la voce  rotta dalla commozione.

Rimango scosso dal suo genuino e sincero turbamento e in silenzio torno al tavolo dai miei amici.

Non faccio in tempo a sedermi che tutti mi chiedono dov’ero finito e che avevo fatto e… che cosa volevo per dolce.

“Niente di particolare. Antonio ed io abbiamo ricordato il sor Augusto e lui mi ha raccontato un po’ di cose… Scusate, ma il tiramisù c’era fra i dolci?”

“Sì c’è!” Mi risponde Carmelo.

“Angelo, scusa, mi porti un tiramisù…” – prima che me lo mangi il sor Augusto-  Pensai, con irriverenza.

Quando stavamo quasi tutti mangiando il dolce, Antonio si avvicina al tavolo con una bottiglia di spumante in mano.

“Questo ve lo offre il sor Augusto… cioè… la casa!”

Mi alzo e gli dico:

“Signor Antonio noi l’accettiamo volentieri, solo a patto che lei brindi con noi, alla memoria del sor Augusto ed in suo onore, perché lei, stasera, ci ha riservato un trattamento pari a quello della buonanima.”

“Va bene, accetto volentieri. Vado a prendere i calici.”

Appena Antonio ritorna con Angelo che porta il vassoio con i calici, non mi sfugge il suo gesto di poggiare un calice con un po’ di spumante sul “tavolo” del sor Augusto.

“Questo è proprio…convinto di quello che mi ha detto…ora pure lo spumante gli versa…, faccio finta di niente”.

Angelo riempie e distribuisce i bicchieri.

Mi alzo di nuovo e con me si alzano tutti gli amici e gli altri avventori, che avendo udito l’oggetto del brindisi, vogliono unirsi anche loro al ricordo del sor Augusto e all’omaggio del signor Antonio. Non senza un pizzico di commozione, visto il consenso unanime, levo il calice e ad alta voce:

“Al sor Augusto e ad Antonio, suo degno successore”.  Tutti in coro ripetono: “ Ad Augusto ed Antonio”.

Porto il calice alla bocca e comincio a bere l’amabile spumante. Quando il calice era quasi orizzontale, istintivamente guardo la foto ed il tavolo del sor Augusto e… vedo il calice, che Antonio aveva, poco prima, furtivamente, posato sul tavolino, sollevarsi in alto come sostenuto da una mano invisibile, per poi discendere un poco, piegarsi e perdere il suo contenuto.

A quella vista l’ultimo sorso di spumante, per lo stupore mi va di traverso e comincio a tossire ripetutamente. Quando riprendo il controllo della mia gola, mi sporgo per vedere il tavolino, convinto di aver avuto un’allucinazione indotta dal vino e dal racconto d’Antonio. Mi accorgo che il calice non è più nella stessa posizione di prima ed è…vuoto, completamente vuoto!

Con voce malferma, che tutti credono a causa dello spumante andatomi di traverso, dico:

“Angelo…portaci il conto”.

 

 

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