MARCO E ALESSIA – Una storia d’amore

La sveglia, impudente e molesta libera i suoi importuni squilli alla solita ora: le 5 e 20!   

 

Alessia è sempre lesta nel tacitarla, per evitare che m’infastidisca più del necessario e l’azzera subito per poi alzarsi e scendere in cucina per fare colazione.

 

Sono trascorsi oltre due anni da quando Marco è andato in pensione ma, poiché Alessia non ha ancora raggiunto i requisiti per il pensionamento, egli non si è ancora affrancato anche da questa quotidiana tortura. Il più delle volte riesce a riprendere sonno ed a svegliarsi ad un’ora decisamente più confortevole e più consona al suo attuale stato civile di pensionato, altre volte si alza poco dopo che Alessia è uscita, non riuscendo a rimanere a letto senza dormire.

 

Quella mattina, di un giovedì qualunque, è una di quelle in cui si riaddormenta quasi subito, consentendogli un’altra porzione di sonno ristoratore finché non si sveglia di soprassalto, sentendo chiaramente pronunciare il suo nome: ”Marco! Marco!”

Ancora intorpidito dal risveglio improvviso, Marco, a sua volta la chiama:

“Alessia…” Non sentendo risposta: ”Alessia, come mai sei tornata indietro?” “Hai dimenticato qualcosa?” Mentre pronuncia queste parole il suo sguardo va all’orologio che segna le 7,15.

Non avendo ancora risposta si alza e continuando a chiamarla scende al piano di sotto e si rende conto che lei non c’è e che, molto probabilmente, si è sentito chiamare mentre sognava, come gli succede spesso nelle ultime ore di sonno.

“Che strano! L’avrò pure sognato, ma la voce di Alessia era così chiara e decisa, quasi un’invocazione, che mi è sembrata reale…Boh!”

Senza dare più peso alla faccenda, Marco fa colazione a sua volta, segue il telegiornale delle 7,30, si fa la barba, si lava i denti e si appresta a vestirsi, quando il telefono suona improvviso ed improvvido come la sveglia, data l’ora.

“Chi sarà che chiama, non sono ancora le otto!”

“Pronto…” segue un attimo di silenzio prima che l’interlocutore parli.

“Pronto…parlo con la casa della signora Alessia Marchetti?”

“Sì, ma mia moglie non c’è, a quest’ora sarà quasi arrivata in ufficio”. Risponde con tono seccato Marco.

“Lei è il marito…allora”. Risponde titubando l’interlocutore.

“Sì, sono il marito. Mi scusi, ma lei chi è e che cosa vuole da mia moglie?”

“Ecco…signor Marco, lei si chiama Marco… vero?”

“Sì mi chiamo Marco, ma lei chi è e come fa a conoscere il mio nome?”

“Io sono il maresciallo Antonangelo della polizia Stradale ed ho chiamato perché c’è stato un incidente che ha coinvolto sua moglie…”

“Che sta dicendo maresciallo, a quest’ora mia moglie è già in ufficio, si sta sbagliando…” Mentre pronuncia questa frase Andrea comincia a sudar freddo.

“No, signor Marco, purtroppo non mi sbaglio, il numero l’abbiamo preso dal telefonino di sua moglie, mentre era ancora nella vettura in attesa dell’ambulanza ed il suo nome l’ho sentito pronunciare da lei, più volte, prima che perdesse conoscenza”.

“Oddio, allora è vero…ma è grave…è viva, vero? Mi dica che è viva…”

“Sì è viva, ma è grave l’hanno portata in ospedale una ventina di minuti fa”.

“In quale ospedale sta? Oddio Alessia mia che ti è successo?”

“L’hanno portata al Pertini, quello più vicino, l’aspetto lì, signor Marco”.

“Sì, sì, vengo subito…Alessia arrivo subito…”

Marco attacca il telefono in preda all’angoscia che con il passar dei minuti monta con un crescendo esponenziale. Dall’incredulità iniziale è passato alla disperazione più nera, dubitando pure che il maresciallo gli abbia detto tutta la verità.

 

Le urla e le invocazioni di dolore riempiono la casa improvvisamente vuota come non mai, si sente perso, confuso, in preda ai pensieri più tragici e va ripetendo di continuo, mentre gira per la casa senza riuscire a rendersi conto di quello che deve fare per uscire al più presto:

“Alessia ti prego non lasciarmi! Alessiaaaa non lasciarmi…senza di te sono perso, non morire! Dio fa che non sia così grave! Diooooooo, mi hai sentito? Che cazzo ci stai a fare se poi succedono queste cose!”

Pronunciate queste parole, Marco si accascia in ginocchio e scoppia in un pianto irrefrenabile.

 

Dopo pochi minuti ed a gran fatica, cerca di riprendere un po’ di lucidità, avvisa i suoceri, un caro amico, che provvederà ad avvertire tutti gli altri ed esce di corsa, affranto ed affannato, per andare all’ospedale.

Percorre il breve tratto di autostrada, imprecando contro tutto e tutti, verso il traffico che non gli consente di andare più veloce, contro il destino di merda, quando si accorge di essere giunto ad una strettoia causata proprio dall’incidente in cui è rimasta coinvolta Alessia.

La stradale sta ancora effettuando i rilievi e sulla corsia di destra c’è l’auto di Alessia girata in senso contrario a quello di marcia ed accanto, in posizione più avanzata, un furgone bianco. Conoscerà più tardi, che il furgone si è immesso in autostrada a velocità sostenuta, senza rallentare e senza accorgersi della vettura che arrivava, prendendola in pieno e facendola girare su sé stessa.

 

La vista delle condizioni dell’auto di Alessia, inferisce un altro duro colpo a Marco, rendendosi conto della gravità dell’urto.

Senza badare a nulla riesce a fermarsi davanti alla zona dell’incidente, sulla corsia d’emergenza e prima ancora che i poliziotti riuscissero ad impedirglielo, egli gli si avventa contro:

“Sono il marito della signora alla guida dell’auto, fatemi vedere cosa è successo! Il maresciallo Antonangelo è qui?”

“No, il maresciallo è andato via poco fa, è andato all’ospedale per raccogliere altri dati da verbalizzare…comunque, signore si avvicini pure e non si preoccupi che sua moglie è viva, anche se il trauma è grave!”

Un rapido sguardo alle condizioni della macchina, la vista del sangue sopra l’airbag sgonfio e flaccidamente appoggiato sullo sterzo, lo induce a riprendere di corsa la strada dell’ospedale.

 

Parcheggiata la macchina alla bell’e meglio, Marco percorre di corsa il tratto che lo separa dal pronto soccorso e piomba come un ossesso nell’astanteria e si dirige verso la porta di accesso al reparto.

“Signor Marco, signor Marco!” Una voce altisonante lo chiama prima che tenti di aprire la porta, peraltro chiusa dall’interno. Egli si gira guardandosi intorno finché non scorge un uomo in divisa da poliziotto.

“Il maresciallo Antonangelo?”

“Sì, sono io!”

“Mi dica la verità come sta mia moglie?” Gli chiede urlando.

“Cerchi di calmarsi Marco, non peggiori la situazione, sua moglie, come le ho detto è grave…ma viva!”

“Viva! Che vuol dire viva? È cosciente, che ferite ha…è grave? Ma quanto è grave?”

Il maresciallo assalito da tanta veemenza che non riesce a contenere, gli dice che lo farà parlare con un medico del Pronto Soccorso che lo potrà informare meglio di lui.

“Grazie, grazie e mi scusi ma sono così preoccupato e…disperato…”

“Non si preoccupi, la capisco…non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima che mi trovo in questa situazione…purtroppo!”

“Certo, è vero, capisco”. Risponde Marco in tono più calmo.

“La prego, ora, mi faccia parlare con qualcuno che mi possa rassicurare ed informare sulla reale condizione di mia moglie”.

“Vado subito!”

Trascorrono pochi ma eterni minuti, quando dalla porta del reparto ricompare il maresciallo con un dottore, non molto giovane, il che rincuora Marco pensando: “Almeno non è di primo pelo, come può succedere nei pronto soccorso”.

“Ecco, signor Marco, le ho portato il prof. Amidei, primario del reparto, nessuno meglio di lui la potrà informare, con sincerità, sullo stato di sua moglie”.

“Grazie maresciallo”. Gli risponde Marco con uno sguardo con il quale vuole esprimere la sua gratitudine per la premura dimostratagli.

“Signor Marco” Esordisce il primario con una voce molto professionale ma, senza intonazioni supponenti.

“Sua moglie ha subito numerosi traumi, ha una frattura al femore destro, contusioni varie e una probabile rottura di una o due costole che fortunatamente non hanno lacerato la pleura.”

“Bene! Allora il quadro clinico non è preoccupante…mi pare!”

“Mi lasci finire, non è tutto!” Lo interrompe il primario.

“Oddio!” Esclama Marco, impallidendo ancor di più.

“Sua moglie ha subito anche un importante trauma cranico, dalla parte sinistra, sicuramente urtando violentemente a causa dell’impatto con l’altro veicolo, con il montante dello sportello ed il vetro. Questo trauma le ha procurato un ematoma cerebrale che la TAC, a cui è ora sottoposta, ci quantificherà con precisione, sia per le dimensioni che per l’area cerebrale direttamente interessata”.

 

Uno sconcertante silenzio segue questa iniziale diagnosi, Marco guarda il maresciallo, che non riesce a sostenerne lo sguardo, abbassando il capo e, poi, ritorna verso il primario che prosegue nella sua descrizione clinica.

“In queste condizioni, appena il sangue ha iniziato a premere sul cervello, sua moglie è andata in coma, un coma ancora non quantificabile, ma secondo la mia esperienza, posso anticipare, salvo i risultati contrari della Tac, dovrebbe trattarsi di un coma non profondo che opportunamente trattato in tempi rapidi può, dopo un periodo di tempo variabile da soggetto a soggetto, consentire il recupero totale delle funzioni cerebrali e quindi della qualità della vita preesistente. Io mi sento di poter affermare che siamo in questa situazione…”

“Professore, professore!”

Un dottore si è affacciato alla porta del reparto dicendogli ad alta voce:

“La signora della Tac la stanno portando in sala operatoria per ridurle il più possibile l’ematoma, per il resto sembra che non abbia subito danni irreversibili…”

“Grazie Mancini!”

“Ha visto signor Marco? La mia previsione non era sbagliata…ora non resta che attendere…”

“Grazie professore, grazie, anche da parte di Alessia…” La commozione gli impedisce di dire altro.

Il professore ritorna nel reparto e Marco, parzialmente risollevato, rimane con il maresciallo Antonangelo che lo guarda in silenzio.

“Maresciallo”,

“Sì, mi dica signor Marco”.

“Niente signore, Marco e basta, andiamoci a prendere un caffè, anche lei ne avrà sicuramente bisogno!”

“Vero, ed ora che è più calmo posso anche farle alcune domande per il verbale, sa!”

“Andiamo, allora”.

 

Dopo circa un quarto d’ora Marco ritorna al pronto soccorso, dove, nel frattempo, sono giunti numerosi parenti ed amici ai quali fa un dettagliato resoconto di quanto è successo e delle buone speranze che ci sono, perché questa divenga solo una brutta e dolorosa vicenda da dimenticare.

 

L’attesa del risultato dell’intervento d’urgenza, per rimuovere l’ematoma e per verificare l’assenza di altri problemi in loco, è, come in tutti i casi simili, estenuante e sembra non finire mai, fosse anche di solo un’ora. Il dolore e la disperazione dilatano a dismisura le percezioni temporali, aggiungendo strazio al dolore.

Sono trascorse oltre dieci ore dall’incidente, quando, finalmente si apre la porta del reparto ed il primario prof. Amidei esce ancora in tenuta da camera operatoria e si avvicina a Marco, attorniato dai parenti e dagli amici.

“Signor Marco ho coadiuvato anch’io i colleghi del reparto di terapia intensiva e rianimazione, per verificare di persona se le mie supposizioni erano fondate o meno”. “Il trauma è certamente grave, forse più del previsto, ma la tempestività ed anche un po’ di fortuna, hanno evitato danni ulteriori e quindi, le mie ipotesi sono state dimostrate dai fatti!”

È facile cogliere in queste sue dichiarazioni un senso di soddisfazione e di orgoglio per essere stato in grado di anticipare, da buon clinico, gli sviluppi della prognosi. Questa discreta forma di auto elogio, ovviamente, non è passata inosservata, ma, nella fattispecie, sono tutti contenti di quel piccolo peccato di presunzione…anzi.

Marco gli chiede:

“Cosa dobbiamo aspettarci, ora?”

“Stavo per informarla proprio di questo.” Una pausa per riprendere il filo del discorso e prosegue:

“La signora Alessia, tanto per cominciare, è fuori pericolo di vita!“ “La situazione attuale è di coma, un coma non profondo anche se ancora non vigile, ma è la risultante del trauma e dei medicinali a cui l’abbiamo sottoposta per sedarla e normalizzarne le funzioni vitali”. “È intubata solo per facilitare la respirazione, anche per le due costole rotte, la frattura semplice del femore destro è stata ridotta e stabilizzata e quanto prima sarà immobilizzata opportunamente, appena il gonfiore sarà sparito.” “Completano il quadro numerose ecchimosi e graffi, di poca rilevanza, che nel giro di un mese saranno tutti scomparsi”.

“Non c’è altro da dire, tranne che bisogna attendere il decorso naturale della sindrome descrittale che, nel caso del coma, non è quantificabile, variando da caso a caso, può andare da pochi giorni a periodi più lunghi…ma su questo, i colleghi della rianimazione, sapranno essere più precisi e circostanziati fra qualche giorno. La prognosi resta, ovviamente, riservata perché, complicazioni e problemi successivi sono sempre possibili… su questo mi preme, per correttezza professionale, essere sempre chiaro”. “Ma io sono un ottimista per natura ed invito anche lei, i suoi parenti ed amici ad esserlo: l’ottimismo giova sempre!”

Dopo aver salutato tutti, il professore si allontana e Marco risollevato dalla descrizione della situazione clinica di Alessia e rincuorato da tutti i presenti, che fanno a gara per confortarlo e sostenerlo, sembra riprendersi dall’avvilimento in cui era piombato.

 

Accogliendo le insistenze di tutti, Marco si lascia persuadere di ritornare a casa, vista l’ora tarda fattasi e l’inutilità di restare nell’ospedale. Il giorno dopo potrà vedere la sua amata Alessia, nell’orario ristretto e rigido consentito dal reparto rianimazione.

Mentre sta tornando a casa, il pensiero di trascorrere la sera senza Alessia, lo assale e lo agita, non era mai successo prima che lei fosse lontana da casa per motivi di salute e, quasi, si vergogna di essere indenne e sano e lei dolorante e offesa dal trauma in un letto d’ospedale, con tubi ed aghi a martirizzarla. Il resto della strada lo percorre piangendo sommessamente, tanto era il dolore che ciò gli procurava.

 “…e sto solo al primo giorno, speriamo che questo coma duri il meno possibile e che la mia Alessia torni da me…perché deve tornare e soprattutto com’era prima, brillante, solare, amabile ed innamorata”. Dice ad alta voce.

 

Marco è arrivato, parcheggia l’auto nel garage, nella concitazione della mattina aveva dimenticato dì inserire l’allarme, entra dentro casa, chiude la porta e quasi subito viene assalito da un forte stato emozionale: il respiro diventa frequente ed affannoso, sente l’aria mancargli, sudori freddi gli scivolano lungo il corpo, le palpebre gli si chiudono, ha la netta sensazione di stare per perdere i sensi. Cerca di reagire, corre in bagno mette la testa sotto il rubinetto e si lascia bagnare dall’acqua fredda che lo scuote un po’, subito dopo è preso da forti conati di vomito.

Trascorrono alcuni minuti e lentamente sembra riprendersi, si guarda allo specchio: è di un pallore come mai si era visto, si sciacqua il viso, prende l’asciugamano, se lo passa sul volto e comincia a piangere. Un pianto intenso, convulso ma anche liberatorio, come se attraverso quelle copiose lacrime uscisse dal suo corpo tutta la tensione accumulatasi nella giornata, tutto il dolore provato, tutta l’angoscia che l’ha oppresso.

Quanto ha pianto e quanto ha invocato il nome della sua Alessia, finché, così com’è iniziata, la sua alterazione si è placata, lasciandogli una spossatezza mai provata.

A fatica, si libera dei vestiti, raggiunge la camera da letto, posa il cellulare sul comodino, vicino al telefono fisso e si lascia cadere sul letto.

 

Inizia la prima di chissà quante notti senza Alessia!

 

La mattina successiva, Marco si sveglia presto e l’ansia e la tristezza riprendono il sopravvento sul suo animo.

Numerose sono le telefonate di conforto e di sostegno di parenti ed amici che lo tengono impegnato per quasi tutta la mattina.  Lo consola il fatto che anche tutti coloro che conoscono Alessia nutrono un grande affetto per lei.

“Non poteva essere altrimenti…non si può non voler bene ad Alessia!” Ripete più volte a voce alta.

 

Il pomeriggio si reca all’ospedale, ben prima dell’orario consentito per parlare con i dottori e per visitare i pazienti, a casa non resisteva più.

Con grande stupore nell’anticamera del reparto di rianimazione, trova già numerosi amici giunti per avere notizie aggiornate e per stargli vicino in queste delicate ore.

Marco è commosso da queste genuine manifestazioni di solidarietà e d’affetto e trova una parola di ringraziamento per tutti.

Agli amici più cari, con cui è solito condividere un’intensa vita di relazione, di viaggi, di manifestazioni di vario tipo, si concede di sfogarsi e di manifestare tutto il suo dolore e le sue ansie e la profonda disperazione che il giorno prima lo stava quasi facendo soccombere.

Verso le 17,30 i dottori cominciano a ricevere i parenti dei pazienti per aggiornarli sulla situazione clinica.

Dopo circa mezz’ora è il turno di Marco, attraversa la porta del reparto con comprensibile apprensione e, indirizzato dagli infermieri, entra in una stanza dove ci sono due dottori, uno seduto dietro la scrivania ed uno in piedi alla sua destra. Dall’età presunta del dottore seduto, Marco deduce che si tratti del primario del reparto di rianimazione e terapia intensiva. Infatti, così si presenta:

“Salve sono Astolfi, il primario del reparto, lei è qui per…”.

“Alessia, Alessia Marchetti, professore!”

“Ah, sì, la signora dell’incidente giunta ieri ed operata alla testa per un serio trauma cranico chiuso”. Il professore si arresta e fissa per qualche secondo Marco che sta letteralmente friggendo!

“Nessuna preoccupazione sig. …” “ Marco, Marco Montani”:

“Bene, dicevo nessuna preoccupazione sig. Montani, la situazione è immutata, rispetto a ieri e ciò è già, di per sé, un buon segno, perché le prime ore, dopo un trauma seguito da un coma sono le più critiche. La prognosi è ancora riservata, ovviamente e lo sarà ancora per qualche giorno, se tutto procede senza complicanze. Il coma non è profondo e le possibilità che sua moglie ritorni alla normalità sono elevate, anche se ci sarà un percorso riabilitativo da seguire sul quale è presto per esprimersi”.

“La posso vedere professore? La prego!”

“Signor Montani, la capisco ma, nei primi giorni il pericolo d’infezioni è il più grave che corrono questo tipo di pazienti e nonostante le precauzioni e l’abbigliamento sterile, io preferisco far loro trascorrere nel totale isolamento dall’esterno i primissimi giorni. Capisco quanto le costi questo mio diniego ma, mi creda, è nell’interesse di sua moglie!”

“È vero, non poterla vedere, mi fa soffrire ancora di più, sa tra noi c’è un legame affettivo molto saldo, nonostante gli anni di matrimonio che abbiamo alle spalle, non ho remore ad affermare che ci amiamo con la stessa intensità dei primi giorni!”

Il professor Astolfi, rimane molto colpito da questa spontanea e profonda dimostrazione d’amore, scambia uno sguardo con il suo assistente e poi torna a rivolgersi a Marco:

“La sua dichiarazione è commovente ed inusuale anche in un reparto del genere, dove i colloqui con i parenti dei pazienti sono sempre ad alta tensione emotiva e… mi ha fatto venire in mente ciò che mi hanno raccontato ieri: che lei ha sentito sua moglie chiamarla, all’ora dell’incidente, vero? Mi hanno riferito bene?”

“Sì, professore è vero e so che sembra incredibile, a me per primo, ma non è stata un’allucinazione, anche se ero in stato di dormiveglia, non lo so, forse potrei definirlo un messaggio telepatico, non sono molto edotto su queste cose, sta di fatto che la voce io l’ho sentita chiaramente e forte, tant’è che ho pensato che Alessia fosse ritornata a casa perché si fosse dimenticata qualcosa, invece”.

“Straordinario, signor Montani, non dubito affatto della sua affermazione e non è raro che persone legate da particolari e profondi legami affettivi abbiano sensazioni simili. Nel caso dei gemelli omozigoti è un fatto accertato ed ormai inconfutabile”.

“Non si angusti più del necessario, le confermo che sua moglie è in ottime mani, perché la mia equipe è di altissimo livello e seguiremo il suo caso con scrupolo, come per tutti, ma con una carica emotiva in più e le prometto che appena lo riterrò possibile la farò stare vicino a sua moglie anche per un tempo maggiore di quello previsto, sicuro che il legame che vi unisce potrebbe contribuire in maniera importante al recupero delle facoltà cerebrali ed a uscire dal coma. Anzi, le dirò di più, che sono molto ottimista in proposito!”

“Grazie professore lei mi ha rincuorato e fortificato il mio ottimismo perché io “sento” che Alessia tornerà da me! Lo sento… non può essere altrimenti!”

“Certo, sig. Montani, sarà sicuramente così!” “Arrivederci e chieda pure di me ogni giorno e se sarò presente sarà un piacere ed un dovere per me informarla sull’evoluzione del quadro clinico della signora Alessia!” “Vada pure a casa tranquillo, anche se comprendo che lei vorrebbe stare vicino alla sua Alessia ma, mi stia a sentire, vada a riposare, non ha una bella cera, sa? Non vorrei curare anche l’altra parte della coppia. Vada a casa, tanto per qualsiasi cosa sarà prontamente avvisato!”

“Sì grazie, seguirò il suo consiglio, ieri mi sono sentito molto male e non so come abbia superato la crisi che ho avuto, forse il pensiero di reagire per Alessia e che non dovevo lasciarmi andare…”.

“Ecco, vede che ho ragione, adesso vada dritto a casa e se ha qualcuno che può, si faccia accompagnare!”

“Vado, professore, a domani”.

“Arrivederci sig. Marco e dorma tranquillo”.

 

Appena Marco ritorna nella sala d’attesa del reparto, tutti gli vanno incontro per conoscere le novità e le previsioni.

Marco aggiorna tutti sul tenore del colloquio con il primario e poi dice di andare a casa, come gli ha consigliato il professore, tanto qui non c’è nulla da fare, se non aspettare e confidare nella buona sorte.

 

Dopo tre giorni di angosciosa anticamera e d’informazioni a volte altalenanti fra l’ottimismo e la riservatezza, il prof. Astolfi concede a Marco la possibilità di visitare Alessia.

“Lo spettacolo che le apparirà è forte sig. Montani, ma è quello consueto dei pazienti in terapia intensiva, i macchinari, i vari tubi, l’intubazione per ventilarla, sono necessari per un più pronto recupero e non significano, di per sé, che le condizioni siano gravi o peggiorate!”

“Grazie professore questo lo comprendo”:

“L’evoluzione della situazione della signora è nella norma: nessuna infezione, i valori ematici ed i parametri del sangue e delle urine sono avviati entro i limiti normali, l’attività cerebrale è presente, anche se in misura ridotta ed a tratti più o mena intensa, ma questo pure rientra nella norma.” “ Del resto sua moglie è ancora sotto sedativi”. Una pausa per valutare le reazioni di Marco e per scorgere nel suo sguardo nessuna ombra di dubbio o scetticismo, per poi concludere:

“Lo stato di sua moglie evolve per il meglio, per quanto riguarda il fisico e sono sicuro che così sarà anche per le funzioni cerebrali.” “Ora si accomodi, segua l’assistente che le indicherà dove vestirsi con l’abbigliamento sterile e l’accompagnerà dalla “sua” Alessia”.

“Grazie professore, ancora una volta, di tutto…!”

Marco vestito di tutto punto, da capo a piedi, con indumenti asettici, entra nella grande stanza dove ci sono i letti o meglio, le postazioni della rianimazione.

L’ambiente è molto grande, i posti sono dieci, quasi tutti occupati. Una luce non intensa ma soffusa e sufficiente illumina questo locale in cui gli unici rumori, oltre quello dei propri passi, sono quelli provocati dal sommesso ma costante funzionamento di un gran numero di apparecchiature medicali preposte ad assistere le funzioni dei ricoverati.

Nel terzo letto del lato sinistro della stanza c’è Alessia. Nell’avvicinarsi a lei, la commozione monta, il cuore accelera ed il respiro si fa ansimante.

Il dottor Leandri, uno degli assistenti del professore, che accompagna Marco, si accorge delle alterazioni che sta subendo:

“Signor Montani cerchi di stare calmo e tranquillo, so che non è facile ma provi, nell’interesse di sua moglie!”

“Sì, ha ragione dottore ma vederla in queste condizioni, inerte e prigioniera di tubi, sonde e macchinari è una sensazione che non si può comprendere finché non ti ci trovi davanti…”.

“Io la lascio qui tranquillo, per pochi minuti, oggi è la prima volta, vengo io a chiamarla”.

 

Il dottore si allontana e quando l’eco dei suoi ovattati passi si smorza, Marco si avvicina ad Alessia e con un gesto di una delicatezza immensa le accarezza il volto, immobile ma disteso.

“Alessia amore mio, sono qui vicino a te, come sempre…” Le sussurra cercando di trattenere la commozione. “Siamo ancora insieme, vicini e vedrai, sono sicuro di questo, torneremo ad esserlo come in tutti gli anni che abbiamo già vissuto insieme. Io sono qui pronto ad accoglierti ed a curarti, non ti abbandonerò mai, nemmeno se…no! Questo non voglio nemmeno pensarlo”.

 

Così ha inizio un lungo periodo in cui giornalmente Marco, seduto accanto al letto di Alessia, prosegue il colloquio unilaterale, con la certezza di essere ascoltato, durante il quale ripercorre tutti gli episodi più belli ed intensi della loro lunga relazione, badando a scandire bene le parole e ad usare un tono di voce misurato, accattivante e coinvolgente.

Giorno dopo giorno Marco continua questa opera di “recupero” emotivo con una costanza ed un impegno che suscita l’ammirazione dei dottori e del personale paramedico che, spesso, si soffermano al di là del vetro della porta a guardare Marco piegato su Alessia che parla in continuazione, senza quasi mai fermarsi e non è difficile che ad alcune infermiere scorra qualche lacrima di fronte a tanto amore e dedizione.

L’azione costante di Marco continua anche quando dopo un paio di settimane Alessia è trasferita in un reparto di degenza ordinaria, dopo aver superato la fase più critica ed essere stata liberata dall’intubazione e da altri marchingegni del periodo terapeutico intensivo.

Ora Marco la sente respirare regolarmente come quando dormivano insieme, riesce a baciarla sfiorandole le labbra, ormai libere, con una leggerezza e delicatezza, quasi rischiasse di farle male. Altrettanto delicatamente le carezza il volto, i capelli e le mani. Quelle sue splendide mani, ancora belle ed affusolate nonostante l’età non più giovane che, spesso, solleva quel tanto che serve ad appoggiarle sulle sue guance, nella speranza di avvertire un sia pur piccolo movimento delle dita.

 

 

Sono trascorsi oltre due mesi dall’incidente ed ancora non si registrano miglioramenti degni di nota. Il professor Astolfi continua ad essere ottimista e forte della sua esperienza, continua a ripetere a Marco di aver fiducia e di non perdersi d’animo.

“Professore io la ringrazio ma, ci sono certi momenti, specialmente di notte quando allungo il braccio per sentire la presenza di Alessia ed esso inesorabilmente accarezza solo un freddo lenzuolo, che la mia speranza vacilla e la disperazione si fa di nuovo strada e…urlo, urlo con tutto il fiato che ho in gola, maledicendo tutto e tutti e questo destino di merda….”

“Non creda che non la capisca sig. Montani ed è difficile trovare le parole giuste per consolarla ma, non perda la speranza la prego, le persone nella condizione di sua moglie hanno buone probabilità di recupero e, questo, è un fatto statisticamente accertato. Voglio aggiungere una cosa: finora né io né i miei collaboratori abbiamo alimentato false speranze per evitare maggiori sofferenze ma, ora dopo quello che mi ha detto mi sento di poterle dire che già da giorni rileviamo alcuni piccoli segnali di attività cerebrale e di reattività ad alcune stimolazioni…”.

“Che dice professore? Perché non me l’avete detto subito?” Interrompe Marco con veemenza.

“Per non creare nessuna illusione, sig. Marco, noi dobbiamo pesare le parole e valutare i fatti con il massimo scrupolo”.

”S’immagina lei cosa ci direbbe se poi il tutto dovesse rivelarsi falso? Io, forse, già mi sto sbilanciando troppo, ma vederla in questo stato di prostrazione e di sofferenza, anche fisica, perché lei in questo periodo è anche dimagrito in maniera anormale, nonostante i miei inviti a non trascurarsi ed a nutrirsi con regolarità, mi ha persuaso a dirle che questi segnali modesti ma non più sporadici sono un chiaro avviso che sua moglie sta imboccando la strada del “ritorno!”

“Ha ragione professore, mi scusi ma ho i nervi a pezzi, invece di ringraziarla l’aggredisco, mi scusi ancora!”

“Devo dedurre che lei è convinto di quanto afferma, vero?”

“Sì, certamente, altrimenti avrei continuato ad evitare, come in precedenza!”

“Ad esser sincero, anch’io alcune volte ho avuto la sensazione che Alessia muovesse impercettibilmente, le dita, ma ho sempre pensato che fosse tutta una mia suggestione emotiva e non ve ne ho parlato per non sentirmelo confermare ed ho preferito covare questa infantile dolce speranza di aver colto i primi “segnali”. Marco s’interrompe perché un nodo alla gola gli impedisce di parlare. Dopo alcuni secondi si riprende.

“Ora lei mi parla di questi segnali e sono contento di non essermi immaginato tutto”.

“Entrambi, per motivi diversi, avevamo dei validi motivi per aspettare dei cenni più concreti e persistenti e, quindi, per non parlarne”.

“Vero, professore, adesso ho compreso ancora meglio quanto mi ha detto prima e mi scuso di nuovo”.

“Niente, niente sig. Marco, non è proprio il caso che lei si scusi”.

“Ora, da medico, le dico di andare a casa, di mangiare e di riposare. Ci vedremo domani”

“Sì professore, grazie e a domani”.

 

Dopo questo colloquio che, finalmente, apriva una piccola ma concreta speranza, è trascorso un altro mese. Marco però “sentiva” che era ormai solo una questione di tempo… Di quanto nessuno poteva saperlo ma, la pazienza e l’amore non gli mancava ed ormai era sicuro che dovesse solo aspettare il momento in cui Alessia sarebbe “tornata”!

 

La vita di Marco, da oltre quattro mesi era scandita dal ritmo casa, ospedale, sonno (quando riusciva a dormire), niente riusciva a distrarlo o ad impegnarlo in qualche altra attività, nonostante gli sforzi degli amici in tal senso. Solo qualche volta aveva accettato degli inviti a cena ma, il vedersi in loro compagnia senza Alessia gli provocava sempre una gran commozione, turbando anche loro. Cercava, quindi, di sottrarsi, promettendo di recuperare le occasioni perdute, successivamente con Alessia. A queste sue risposte, Marco, percepiva sempre più spesso lo scetticismo degli amici che cominciavano a dubitare del recupero, almeno in tempi brevi, di Alessia.

L’atteggiamento migliore era quello di evitare, di isolarsi e mantenere solo i contatti telefonici e quelli all’ospedale. Sarebbe stato meglio per tutti.

 

Una sera, uguale a tante altre, Marco ritorna a casa particolarmente stanco e svuotato psicologicamente. Nonostante i buoni propositi, le cadute d’umore e le angosce erano sempre pronte ad aggredirlo ed a prostrarlo. Quella sera è una di quelle in cui la misura è colma e Marco annaspa nel vano tentativo di non farsi travolgere.

Non c’è modo di alleviare la sua tensione. Né la lettura, né la televisione, nemmeno la musica riescono minimamente a sollevarlo. Anche lui, che di momenti terribili ne aveva trascorsi tanti, non riesce a capire come mai quella sera sia in tale subbuglio fino ad aver paura di rischiare un collasso. Il corpo e la mente vagano separati come se nessuno dei due facesse parte dell’altra. Entra ed esce di casa in continuazione, cercando conforto nella fresca aria del giardino nella sera ormai inoltrata, beve molta acqua, va spesso al bagno, apre il frigorifero per mangiarsi pezzi di cioccolata, si prepara una tazza di camomilla con quattro filtri.

Finché, allo stremo, non decide di provare ad andare a letto, sicuro che tanto non avrebbe dormito in quelle condizioni.

Invece, dopo pochi minuti cade in un sonno profondo, tanta è la stanchezza psicofisica. Un sonno caratterizzato come sempre, da frequenti e strani sogni ma, comunque, un sonno prolungato come non gli succedeva da mesi, ormai.

 

Durante un sogno nelle prime ore del mattino, quando l’organismo è prossimo a svegliarsi gli appare Alessia, una visione confusa, sfocata nei contorni ma, nessun dubbio che fosse lei. Così come gli è apparsa è sparita, si sveglia e a voce alta fa una considerazione:

“Che strano, in tutti questi mesi non ho mai sognato Alessia, stamane sì! Ieri sera ero troppo stressato, sarà per questo motivo… almeno poteva essere un sogno più lungo e preciso!”

Socchiude gli occhi e prova a riaddormentarsi nell’illusione di riprendere il filo perduto del sogno. Uno strano senso di torpore lo prende, tipico di chi sta per riprender sonno…

“Marco! Marco!”

Nel dormiveglia Marco crede di aver riagganciato il sogno e chiama Alessia.

“Marco, Marco…Marco!”

Sente ancora la voce di Alessia, apre gli occhi e con i brividi che gli percorrono tutto il corpo capisce che non sta affatto sognando e che la voce di Alessia sembra reale, come la mattina dell’incidente.

In preda alla confusione più totale:

“Mio Dio sto peggio di ieri sera, sto vaneggiando, sto andando fuori di testa… ma la mattina dell’incidente ho sentito distintamente Alessia che mi chiamava come ora e mica stavo male!”

“Oddio… vuoi vedere che…è veramente lei che mi chiama? Per dirmi che è tornata?”

Con il cuore in tumulto scende per telefonare all’ospedale e mentre raggiunge il telefono si accorge che sono le 7,15.

“Ma è la stessa ora dell’incidente, allora è lei, è lei”. Dice urlando

“Dove diavolo sta la rubrica del telefono? Porca miseria, dov’è andata a finire?”

Mentre sta cercando freneticamente la rubrica, il telefono squilla. Si blocca di colpo. Ha quasi paura di rispondere, sono attimi indescrivibili, durante i quali la sua mente alterata gli suggerisce che potrebbe anche essere il contrario di quello che lui crede che… se ne sia… andata, invece.

Si decide a prendere il telefono.

“Pronto!”

“Il sig. Montani?”

“Sì, sono io! Chi è?” Risponde Marco con trepidazione e paura.

“È l’ospedale. Volevo dirle che….”

“Che mia moglie è tornata, vero? È tornata con noi!”

“Sì le volevo dire proprio questo, ma lei come fa a saperlo già, è successo solo pochi minuti fa!”

“Mi ha chiamato… mi ha chiamato ed io, ho anche dubitato!”

“L’ha chiamata? Ma non è possibile!”

“Oh si che è possibile quando ci si ama come ci amiamo noi, tutto è possibile!”

“Arrivo subito!”

 

Il tempo necessario per avvisare i genitori di Alessia ed alcuni amici e Marco si avvia velocemente verso l’ospedale.

Piomba letteralmente nel reparto e facendosi spazio fra gli infermieri ed i dottori di turno, riunitisi tutti a festeggiare l’avvenimento, si dirige verso la stanza di Alessia dove oltre il dottore di turno del reparto c’è anche il prof. Amidei, il primario del Pronto soccorso, colui che grazie alle sue intuizioni ed alla rapidità dell’intervento ha sicuramente contribuito a limitare i danni il più possibile.

“Signor Marco, non mi volevo perdere questo momento di gioia, io ho sempre seguito l’andamento clinico di sua moglie e i colleghi della Rianimazione prima e del reparto poi mi hanno sempre riferito sull’evoluzione della malattia e stasera mi hanno chiamato per darmi la buona notizia!”

“Venga si avvicini, ecco la sua amata Alessia che l’aspetta con gli occhi aperti ed il cuore “aperto”.

Marco si avvicina verso quel letto che l’ha visto per tanti giorni accorato protagonista del suo dramma. Con trepidazione il suo sguardo va verso il volto di Alessia che con un sorriso appena accennato e con lo sguardo intenso gli dice, con voce esile:

“Marco, amore mio… ancora insieme… abbracciami!”

Marco incapace di parlare per l’emozione, l’abbraccia e piange finché non riesce a sussurrarle:

“sì, ancora insieme più che mai e farò di tutto perché tu recuperi integralmente le tue capacità, farò di tutto e di più, se necessario!”

 

Nessuno dei presenti è ovviamente rimasto insensibile a questa scena fortemente emotiva anche per il coinvolgimento diretto di tutti.

 

Inizia ora un altro periodo della vita di Alessia e Marco, forse il più difficile, ma sarà anche il più intenso e appagante.

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Racconti. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.