IL TRAMONTO DI UNA VITA

Racconto premiato nella categoria inediti con il terzo posto, nella VI edizione del premio letterario San Benedetto del Tronto nel cuore, il 4 maggio 2013.

La stanza è ancora illuminata dalla luce del sole che entra dalla finestra, affacciata sulla strada.

È l’ultima luce del giorno, quella del tramonto, che rischiara un ambiente che deve aver conosciuto tempi migliori.

La stanza è in ordine. Ogni cosa è al suo posto, ma si nota una freddezza impersonale nel suo arredamento. Essa è priva del calore umano che solo la vita di chi la frequenta le può dare. Si avverte che quel triste ordine denota l’assenza di una mano femminile, la sola che può conferire un profumo vitale ad una casa.

Giacomo sta seduto al tavolo, con il viso rivolto verso la finestra e con un bicchiere davanti in cui ha versato della grappa: l’unica compagna rimastagli a scaldarlo, negli ultimi tre anni.

Tanti ne erano passati da quando Carla, sua moglie, aveva perso la battaglia contro il mostro che, crescendo dentro di lei, l’aveva divorata lentamente sino ad ucciderla.

Avevano trascorso insieme trentotto anni da sposati, più altri due da fidanzati. La loro vita si era spiegata, fino a tre anni fa, nel normale divenire di un’esistenza di una coppia innamorata ed affiatata. Avevano sempre diviso e condiviso tutto, persino la malattia di Carla era stata somatizzata da Giacomo, creandogli qualche problema cardiaco.

Hanno avuto un solo figlio, Andrea, che oggi ha trentacinque anni e che, per motivi professionali e sentimentali, vive all’estero, con la moglie Patricia, inglese.

Dopo la morte di Carla, le già rare visite di Andrea si sono diradate, sia per la distanza, sia perché, giustamente, c’è anche la famiglia della nuora da non trascurare. Anche i contatti telefonici si sono rarefatti.

Questa situazione aveva contribuito a deprimerlo ancor più, anche se giustificava suo figlio, con gli impegni di lavoro e la vita molto attiva che faceva, ma in cuor suo era molto amareggiato, com’era rammaricato di non essere ancora diventato nonno.

Il demone della solitudine si era, in maniera subdola e strisciante, impossessato di lui. Anche le amicizie più assidue, con la perdita di Carla che rappresentava l’elemento catalizzatore della loro vita di relazione, si erano gradualmente defilate.

Giacomo è conscio che la causa di tutto ciò è lui stesso e la depressione in cui è sprofondato, che fa di lui, nonostante gli sforzi degli amici tesi a risollevarlo, un compagno poco gradito, che turba ed intristisce chiunque gli si avvicini.

La sua lenta e progressiva dipendenza dall’alcool, peggiora la situazione, per le frequenti alterazioni del suo umore che essa provoca.

Verosimilmente, anche questi pensieri turbinano nella sua mente, ancor lucida, mentre sta seduto ed immobile di fronte alla finestra.

Questo suo stato di fissità è proseguito per parecchi minuti.

All’improvviso, si alza di scatto e decide di uscire, lasciando, intatto, il bicchiere di grappa sul tavolo.

Erano trascorsi molti giorni dall’ultima volta che l’aveva fatto.

È l’imbrunire, quando supera il portone del palazzo.

L’aria si è fatta dolce e la temperatura gradevole. I rumori della cittadina si sono attenuati e le luci delle strade, dei negozi e delle case, si accendono in sequenza, come se si rincorressero l’una con l’altra, in un gioco festoso.

Mentre Giacomo cammina, l’odore del mare, che dista meno di un chilometro da casa sua, comincia ad essere percepito dalle narici.

Quante volte con Carla, in sere d’estate simili a questa, avevano percorso la strada che porta al mare, per, poi, proseguire sulla spiaggia, camminando sulla battigia, con la tenerezza di due innamorati, mano nella mano, divertendosi ad evitare che la risacca bagnasse loro le scarpe.

Per questo motivo, spesso, se le toglievano e portandole in mano, si compiacevano di immergere i piedi nell’acqua salata e poi, nella sabbia ancor tiepida, per ritornare, di nuovo, nell’acqua e così via. Ripetevano, spesso, questo infantile quanto tenero gioco, che li faceva sentire felici e spensierati.

Giacomo giunge sulla spiaggia che è quasi buio. La luna, che è al terzo quarto, si è appena levata all’orizzonte, stagliandosi sul rosa tenue del crepuscolo.

Si avvia sulla sabbia e si dirige verso il bagnasciuga, ripercorrendo i passi ed i movimenti, fatti tante volte con Carla.

Si toglie le scarpe e, languidamente, riscopre le sensazioni che i piedi immersi nell’acqua ed imbrattati di sabbia, gli trasmettevano un tempo. Queste sensazioni ed i ricordi dei periodi semplici e felici, lo proiettano lentamente e senza che se ne renda conto, in una dimensione dell’anima, in cui tutto diventa possibile e nella quale il tempo è un’entità statica, senza più passato, presente e futuro.

Continua a camminare, ma non è più solo, la sua mano libera è stretta a quella di Carla che cammina al suo fianco, in preda a quell’ingenua e genuina allegria che, sempre, la pervadeva in riva al mare.

In questa dimensione senza tempo, tutto si dilata, si comprime, si avvicenda, si confonde, non rispondendo più alle leggi fisiche della dimensione che conosciamo.

Giacomo rivive, così, un’altra volta le sensazioni e le emozioni degli anni felici, quelli antecedenti al “mostro” e ritrova la gioia di vivere.

Carla e Giacomo, raggiungono un’ansa della spiaggia, dove erano soliti, quando possibile, appartarsi, come due ragazzi ai primi incontri amorosi.

Scivolano dietro gli scogli e si adagiano sulla fine sabbia che si conforma ai loro corpi, appena illuminati dai pallidi raggi lunari.

Il sole è sorto da poco e la spiaggia comincia ad illuminarsi.

“Venite, venite, c’è un uomo steso sulla sabbia, forse sta male!”

Urla un ragazzo, affacciato dal muretto che delimita la strada dalla spiaggia.

Accorrono diverse persone.

“Chiamate l’ambulanza!” Grida qualcuno.

Fra loro, c’è un giovane medico che si stava recando al vicino ospedale. Scavalca il muretto senza esitazioni, si avvicina a Giacomo, posa la borsa sulla sabbia e poggia due dita sul collo per verificare il suo stato e comprende che è morto.

Il suo volto è già pallido, ma su di esso si è fissato un sorriso che trasmette una sensazione di serenità e di pace.

Accanto al corpo ci sono le sue scarpe appaiate. Abbinate, in bell’ordine anch’esse, un altro paio di scarpe…da donna.

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