HO VOLTATO UN’ALTRA PAGINA

                   

Da qualche mese, ormai, meditavo una decisione per me molto importante.

L’uscita dal mondo del lavoro, ha, infatti, accelerato la risoluzione di questa mia angoscia esistenziale, Detta angoscia, misconosciuta dai più intimi, sia parenti sia amici, perché nessuno di loro condivide la passione che ne è all’origine e, quindi, non può comprenderne tutti gli aspetti, rappresenta un’effettiva sofferenza, a causa della quale vengo, nel migliore dei casi guardato con compatimento, quando non esplicitamente deriso.

Gli altri, quelli che mi possono capire, già compagni di numerose scorribande perpetrate su numerose strade dell’Italia centrale, si sono, pian piano, defilati per i più vari motivi, lasciandomi solo, ma sempre più di rado, a srotolarmi sui nastri d’asfalto in sella al mio fedele: “Pompone”.

Per i non  addetti ai lavori: “il Pompone”, è il nome attribuito alle moto Ducati, a causa del caratteristico rumore del suo propulsore che si sublima in musica attraverso i suoi scarichi che, come canne d’organo, diffondono la loro “musica” negli spazi aperti. Questo suono particolare e caratteristico è famoso (se non di più)  quanto quello delle mitiche Harley.

Sono approdato alle moto in età non più adolescenziale. Pur essendo un patito di motorini sin da piccolo, il reddito familiare non consentiva di acquistarne uno, anche usato. Solo una volta ci andai molto vicino, ma per 5000 lire (era il 1959), mio padre non si accordò con il rivenditore, cosicché sfumò l’acquisto di un Motom supersport di 50cc che superava agilmente gli 80 kmh  e dovetti ripiegare su una più economica bicicletta Legnano mezza corsa.

Giunto all’età della ragione(?) e dell’indipendenza economica, ho finalmente iniziato la scalata alle due ruote a motore.

Prima un tubone Malanca di 50cc a quattro marce, poi un’Harley di quelle fatte in Italia che con l’Harley vera e propria non avevano nulla da spartire, tant’è che era poco più di un motorino: un 90cc a due tempi! Poi acquistai, con il mio primo prestito personale (nella banca dove lavoravo) la Suzuki NGT 380 tre cilindri, due tempi!

Ero finalmente arrivato ad una vera moto.

Dopo l’intervallo dovuto alla paternità, ecco che ricresce in me la smania delle due ruote e con la scusa, anche, di risolvere il problema dei trasferimenti casa/lavoro, la cui collocazione cambiava con frequenza, mi recai da un concessionario amico e gli dissi: “A me la moto piace, se me la dai senza  vincoli di pagamento ma con l’impegno che entro una data stabilita io te l’avrò saldata con dazioni di denaro la cui frequenza ed importo siano a mia discrezione, la prendo!”

E… non mi ha detto: ”Va bene!”.

Nel periodo prefissato, ne ho comprate due, perché la prima pur andando molto bene non corrispondeva al mio dna motoristico e quindi acquistai un modello sportivo: la Yamaha FZ 750!

Dopo quattro anni e due costole rotte, mi sono fatto coinvolgere, da un amico, nella passione motociclistica per antonomasia  dell’Italia: La Ducati.

Per chi non è appassionato di motori, posso affermare, senza rischio di smentita, che la Ducati sta alle due ruote come la Ferrari sta alle quattro.

Con la prima 851, dopo quattro mesi dall’acquisto, per aver osato oltre le mie possibilità, perché non ne avevo ancora acquisito la necessaria padronanza, ho lasciato sull’asfalto della strada di Colli di monte Bove, dopo Carsoli, l’ulna del braccio sinistro e la slogatura del pollice della mano destra.

Ho portato il gesso, da aprile fino a settembre, come se fosse un’onorificenza acquisita sul campo (si dice che non si è veri motociclisti se non si è “assaggiato” l’asfalto). Io l’ho assaggiato, con diversi risultati, almeno cinque volte, mi sembra (di cui 4 per colpa degli automobilastri) quindi, a buon titolo mi posso definire un “supermotociclista!”.

Poco dopo il primo Ducati ho acquistato anche una moto da enduro e da allora, fino ad oggi ho sempre avuto due moto: una per il pendolarismo lavorativo e per le gite a breve e lungo raggio ed una per le scorribande già menzionate (e per qualche puntata anche in pista) al rientro delle quali era difficile ricordare il paesaggio che avevo attraversato perché esso si ostinava ad andare più veloce di me

Il momento sempre previsto, ma sempre allontanato, è alfine giunto ed al suo compimento hanno contribuito due fattori: il primo d’ordine fisico quale un’artrosi alla spalla destra. La guida della mia Ducati testastretta 998s, a causa del suo assetto, tipico da circuito, dove il peso del corpo, in particolare nelle staccate, grava principalmente sui polsi e sulle spalle, mi procura un fastidio che supera la gratificazione di guidare un simile gioiello e nemmeno l’adrenalina che ti mette in circolo lo compensa più; il secondo d’ordine economico/razionale: non ha senso mantenere due moto di pari cilindrata con costi fissi elevati, quando, poi, se ne usa una sola.

Meglio, quindi, venderle entrambe, ma… non per rinunciare alla moto… questo mai, o il più tardi possibile; venderle per comprarne una sola che sia la sintesi delle due: poterci viaggiare comodamente e quando, mi gira, tentare ancora qualche piega su qualche bella strada che ti stuzzica.

Oggi ho ritirato la nuova moto, sempre una Ducati ma della categoria sport/tourer, spero vivamente che risponda ai miei desideri, tra pochi giorni andrò all’isola d’Elba ed a maggio in Sardegna.

Malgrado ciò, questa mattina, quando ho “posseduto” per l’ultima volta la mia eccezionale compagna, che mi ha regalato forti emozioni ed anche attimi di felicità, ho provato una sensazione d’amarezza e di frustrazione, sensazione che negli ultimi anni mi si ripropone con frequenza, quando hai la coscienza che certe esperienze non ti si ripresenteranno più e dici:

 “anche con questo hai chiuso!”.

“Hai girato un’altra pagina della tua vita che non tornerai più a leggere e quelle che restano sono sempre di meno”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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