LA LEGGENDA DEL MOTOCILISTA MARCO

 

 

 

Ore nove e trenta, appuntamento al distributore di benzina sulla via Flaminia, subito dopo il bar Euclide.

Questa è l’ora ed il luogo in cui, con il gruppo di motoappassionati, che fa riferimento al mio amico Guido, ci si riunisce, il sabato. Entro le dieci si stabilisce la meta della motogita e si parte, senza aspettare oltre, nessuno. Questa è la consuetudine.

Quel giorno, eravamo in otto. Tutte le più famose case motociclistiche erano rappresentate:

  • Guido, in sella alla Kawasaki Ninja 900;

  • Ivo con la Suzuki GSX 1000

  • Claudio con l’Aprilia 1000 RVS

  • Andrea con la Yamaha R1

  • Luigi sulla Honda CBR 900

  • Alessandro con la Yamaha R6

  • Piero con un’altra Yamaha R1

  • Io con il mio “Pompone” Ducati 998S

Non c’erano e non ci saranno mai, le BMW e le Harley Davidson, perché i possessori di questi “pezzi di ferro”, fanno categoria a parte: quelli con la BMW, hanno la puzza sotto il naso e snobbano gli smanettoni come noi e quando vanno in gita con la moglie, sotto la tuta di pelle hanno la giacca e la cravatta; gli Harleyisti, perché sono come una setta, con tutte le liturgie tipiche delle sette e con le loro cerimonie.

Dopo aver avviato il concerto motoristico, iniziammo a danzare sulle strade, sull’onda della musica dei nostri motori.

La meta della gita, o meglio, della cavalcata veloce, era l’Umbria, in particolare la val Nerina, la cui strada che l’attraversa, è una delle mete classiche dei motociclisti dell’Italia centrale. Successivamente saremmo arrivati fino a Castelluccio di Norcia, dove avremmo pranzato.

Con la nostra tipica andatura che normalmente non ci consente di ammirare il paesaggio che attraversiamo, perché ci appare tutto strisciato come in una fotografia “mossa”, arrivammo a Terni, dove, per fortuna, ci fermammo per alcuni minuti, per sorbire un caffè e riprendere fiato. 

Appena finì “l’intervallo”, via! Tutti ad infilarsi nel meraviglioso e tortuoso percorso della Val Nerina. Passammo dinnanzi alla cascata delle Marmore e grazie al limite di velocità ivi posto, potei vedere che non avevano ancora “aperto” la cascata, o meglio le chiuse che a monte l’alimentano.

Poi, poco dopo, vai con il gas! 

Le nostre uscite motociclistiche hanno delle caratteristiche costanti: oltre quella del punto di riunione, già detta, c’è, ad esempio, una certa discontinuità nell’andatura impressa alle moto e nelle velocità che si raggiungono. Per essere il più chiaro possibile,  il ritmo della guida ha un po’ l’effetto fisarmonica: il gruppo è a volte sgranato, ma compatto, altre volte, invece, quando qualcuno di noi, subdolamente, apre di più la manopola del gas, senza preavviso, il gruppo si sfilaccia, perché tenta di riprendere il fuggitivo, che ha avuto l’ardire di approfittare di un momento d’andatura turistica, per infilarti e cercare di darti la paga.

Inizia allora un inseguimento competitivo e chi ha più motore o più “manico”, sparisce alla tua vista, dopo qualche curva, ma non tante però, perché il livello medio di guida è abbastanza elevato e malgrado l’età non più giovane che contraddistingue quasi tutti noi (c’è anche un nonno, giovane, ma pur sempre un nonno). Grazie alla complicità del casco, nessuno penserebbe che in sella a quei bolidi ci siano persone più vicine ai sessanta anni che ai trenta. Qualcuno, infatti, con un po’ d’ironia, che nascondeva un pizzico d’invidia, ci ha definito “il gerontoteam”.

Dopo alcuni chilometri  l’improvvisa competizione cessò ed il gruppo riprese la sua andatura “normale”.

Poco dopo, scorgemmo dinnanzi a noi, su un rettilineo di qualche centinaia di metri, una moto che, quella sì, andava ad andatura turistica, umana. Appena ci avvicinammo ci accorgemmo che essa era una MV Agusta 750 degli anni settanta, una versione stradale della moto portata al successo dal mitico Ago (Giacomo Agostini). Il suo conducente era abbigliato in perfetto stile dell’epoca: casco, tuta di pelle nera, guanti, stivali, tutti oggetti “vissuti” in stile anni 70. Non era la prima volta che incontravamo degli appassionati di moto d’epoca, sia da soli che in gruppi, abbigliati come si usava negli anni delle rispettive moto, quindi, l’incontro, in sé, non avrebbe alcuna particolarità se non fosse stato per il tipo di moto, che è una delle più ambite dai collezionisti ed un esemplare nelle condizioni di questo, in cui c’imbattemmo quel giorno, valeva sicuramente una fortuna, anche più di 50.000€ e, se sbaglio, sbaglio sicuramente per difetto.

Tutti noi rallentammo per ammirare un simile gioiello e compiaciuti salutammo il suo conducente, con più calore di quanto siamo soliti fare quando incontriamo tutti gli altri motociclisti sulla nostra strada. Il guidatore della MV, che sicuramente, pensai, essere della nostra stessa età o forse più, come lo sono in genere gli appassionati di moto d’epoca, ricambiò i nostri saluti sollevando più volte il braccio sinistro. 

Proseguimmo accelerando platealmente, quasi a voler dimostrare con questo gesto, al tranquillo collezionista, che la sua moto è un pezzo di storia dello sport e della meccanica, ma le nostre sono l’evoluzione ultima e più aggiornata della tecnica motociclistica: guarda un po’! Tiè!

Facemmo circa dieci chilometri, o poco più, quando, mentre ero l’ultimo del gruppo, nei miei specchietti retrovisori apparve la sagoma di una moto in avvicinamento dall’aspetto ignoto, non vi riconobbi nessuna delle moto attuali. Quando si avvicinò, malgrado io avessi aumentato l’andatura, rimasi di stucco e per poco non feci un “dritto” alla curva che mi si parava davanti:

“Cazzo, ma è il collezionista, quello con la MV. Hai capito il vecchietto…ma che stò a dì, magari c’ho più anni io de lui, sì ma mica tanti. Quella è tutta roba d’epoca, non può esse un pischello!”

Mentre facevo tutti questi ragionamenti, la Mv si era incollata alla mia Ducati:

“e… porca mignotta, che vò fa, superamme in curva…li mortacci sua… l’ha fatto!”

A quel punto, mi butto dietro e non lo mollo, almeno fino a quando entrambi raggiungemmo il resto del mio gruppo. Feci appena a tempo a pensare:

”E mo come se mette? Lì c’è gente più forte de me, vojo proprio vede’ che fa con quel pezzo de fero arruzzinito, de trenta anni fa.”

L’ho visto sì, quello che fece con quel pezzo di ferro. I primi compagni, quelli più vicini a me l’ha infilati anche a due per volta, gli altri, non lo so come, perché la strada non mi e ci consentì di vedere i sorpassi successivi, ma l’abbiamo capito quando raggiungemmo i primi e della MV , nemmeno l’ombra. 

Ci fermammo tutti, poco dopo, sul bordo della strada, scendemmo dalle moto, ci sfilammo i caschi, ma nessuno parlava. Questo irreale silenzio durò un paio di minuti.

Lo interruppe Guido:

“Ahò aveste visto che roba? Diteme che l’avete visto che nun l’ho sognato!”

“A Guì, l’avemo visto sì. Quello c’ha infilato tutti come se fossimo dei pivellini… con quella moto…con quelle gomme. Ma chi cazzo sarà mai. Niente niente, fosse stato Ago pe’ davvero?”

“Chiunque fosse, è un gran manico. Sicuramente un ex campione, di quelli che andava forte”.

Sulla scia di quest’affermazione consolatoria del nostro orgoglio ferito, riprendemmo la nostra “passeggiata”.

Dopo circa un’ora, giungemmo sull’altopiano di Castelluccio di Norcia.

Ci si presentò uno spettacolo magnifico perché tutta la zona che attraversammo, dedicata esclusivamente alla coltura della famosa lenticchia, era in pieno fiore. Eravamo contornati da un mare di fiori gialli, quasi a perdita d’occhio.

Salimmo un altro poco e giungemmo nel piccolo gruppo di case che domina l’altopiano, dove avremmo fatto sosta per il pranzo.

Il posto è meta ricorrente di gitanti a due e quattro ruote e molti di questi ci avevano già preceduto. Scegliemmo un locale dove c’erano altri motociclisti come noi, a giudicare dal tipo di moto parcheggiate davanti ad esso. Sistemate le moto, ci accomodammo su un tavolo situato all’aperto, in una specie di veranda, vicino al tavolo occupato dagli altri motociclisti.

Dopo esserci scambiato un saluto con i nostri occasionali vicini, secondo quella bella abitudine in uso fra coloro che vanno in moto. La comune passione, infatti,  ci ha restituito l’educazione, la socialità e la solidarietà, valori, ormai in disuso, nelle altre manifestazioni del vivere quotidiano.

Nell’attesa che il cameriere ci portasse quanto avevamo ordinato, mi alzai e mi avvicinai al tavolo degli altri centauri.

“Scusate ragazzi, voi siete di queste parti? Umbri intendo?”.

Rispose per tutti, quello che all’apparenza sembrava il più “grande” e, cioè, più o meno della mia età. 

“Sì, siamo un gruppo di amici di Terni. Ma perché ci fai questa domanda?”

“Bene! E’ proprio questo che speravo, che voi foste della zona, perché circa due ore fa abbiamo incontrato, nel nostro senso di marcia, un signore, che presumo avesse la mia età, che guidava una MV 750 di una trentina di anni fa, sicuramente un appassionato di moto d’epoca, abbigliato anche come si usava in quegli anni. 

Appena detto ciò notai che il mio interlocutore, mi cominciò a fissare con un’attenzione che mi parve eccessiva, ma continuai il mio racconto.

“Il fatto in sé non avrebbe nulla di particolare. Di appassionati di moto d’epoca se ne incontrano tanti. Questo motociclista, infatti, dopo averci fatto passare tutti e risposto ad i nostri saluti, nel volgere di pochi minuti ce lo siamo trovato addosso ad un’andatura ben diversa di quando l’avevamo incontrato. Nonostante noi stessimo “tirando” ed impegnandoci nell’affrontare la strada, questo con la MV non solo stava sempre incollato a noi, a me per primo, ma cominciava a dare evidenti segni dell’intenzione di superarci e… cazzo…l’ha fatto, con una facilità ed una perizia degna di un campione, lasciandoci tutti con un palmo di naso. Ti chiedo e vi chiedo, se qualcuno di voi lo conosce, perché uno del genere non passa certo inosservato, sia per la moto, sia per come guida. Diteci, se lo sapete, chi è, perché uno così merita anche d’essere ricordato con il nome e non solo come quello della MV750”.

Appena ebbi terminato, il mio interlocutore, tirando un sospiro, e dopo esserci presentati, (il suo nome è Enrico), mi disse:

“Lo conosciamo tutti e non solo noi, ma tutti i motociclisti della zona, è una vera e propria leggenda. Il suo nome è Marco…Marco Maggini. Negli anni 70 era un pilota di valore, ha vinto molte gare e, senza dubbio, se avesse potuto continuare, avrebbe creato dei problemi perfino a Giacomo Agostini!” 

“Ah bene! Quindi è uno con “le palle”, ecco perché ci ha dato la paga a tutti, malgrado l’età e la moto superata! La cosa ci consola, perché se fosse stato uno qualsiasi, c’era da vendersi la moto, appena tornati a casa”.

La battuta, buttata lì e condivisa dai miei amici, non suscitò nessuna ilarità negli altri motociclisti, anzi, mi sembrò chiaramente che l’avesse infastiditi.

“Scusate, amici, se ho detto qualcosa che non va, me ne scuso, ma non capisco… Ma per finire il discorso, Enrico, perché Marco non poté più continuare le gare? Non credo per motivi fisici, perché se oggi, ad una certa età, guida così la sua MV…ha avuto dei problemi personali, sentimentali o che altro?” 

Un’altra coltre di gelo calò su di noi. 

“Che cazzo, non ne azzecco una oggi, ma che diavolo succede?” Pensai.

“Vedi Sergio, il fatto è che Marco…  poco più di trenta anni fa…è morto!”

Se prima era sceso il gelo, adesso con questa rivelazione, su me ed i miei amici era caduta una montagna di ghiaccio e non provai nemmeno a dubitare di quanto dicesse Enrico e se colui che avevamo incontrato poteva, a quel punto, non essere Marco. Il volto tirato e terreo di Enrico, l’eloquente mutismo dei suoi amici, ci lasciò senz’alcuna capacità di replica, perché loro erano seri, tremendamente seri e stavano dicendo e confermando una verità, per quanto assurda ed irreale essa fosse.

Enrico, proseguì:

“Marco morì, proprio sulla strada della Val Nerina. Gli si parò davanti un daino, sbucato all’improvviso dal bosco, per evitarlo tentò una manovra che lo portò fuori strada ed ebbe la sfortuna di fratturarsi due vertebre cervicali, che lo paralizzarono, dal collo in giù. Fortunatamente per lui, se così si può dire, pochi giorni dopo l’incidente morì per le complicazioni provocate dal trauma. Morte che egli stesso invocava nei giorni precedenti, perché non avrebbe voluto continuare a vivere, muovendo solo gli occhi e la bocca e…senza la sua moto.” 

“Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di seguirlo in parte della sua carriera di pilota, avevo solo qualche anno meno di lui e posso dirti che non era solo un ottimo pilota, ma anche una splendida persona”.

Seguì una pausa, densa di commozione, condivisa da tutti noi. Poi riprese a parlare.

“Sergio, adesso rispondo anche alle domande che non mi hai fatto, ma che leggo nei tuoi occhi: ma, allora, chi era quello che abbiamo incontrato poche ore fa?”

“Non so come dirtelo e, soprattutto, non so come spiegartelo, ma credimi…era proprio lui! Sì, sì, lui. Sono anni che egli appare all’improvviso sulla Val Nerina ed altrettanto all’improvviso, scompare. Voi non siete stati i primi e non sarete nemmeno gli ultimi ad essere venuti in contatto con Marco. Numerosi sono i racconti di tanti motociclisti, che assomigliano al tuo. Tutto ciò ha contribuito a creare la “Leggenda di Marco il Motociclista” e credimi, nessuno di coloro che l’ha visto era un visionario, come non lo sei tu od i tuoi amici. Io non so che fenomeno sia, paranormale o che altro e, francamente non m’interessa. Mi piace, anzi, ci piace pensare che Marco continui a “vivere” questa sua grande passione, ancora con noi, con quella sua scanzonata e giovanile necessità di dimostrare che lui era il più bravo e …lo è ancora”.

“Voi stamane siete stati fortunati…io vengo qui, con la mia moto, molto spesso, nella speranza d’incontrarlo e prima o poi lo incontrerò, per poterlo salutare per l’ultima volta…”

Enrico tornò a sedersi al suo tavolo, io al mio.

Quello fu il pranzo motociclistico più silenzioso e triste.

Anche il ritorno a casa, fu il più tranquillo e compassato di tutti e quando stavo per abbandonare la strada della Val Nerina, non potei fare a meno di salutare Marco, con un groppo in gola mentre due lacrime scivolavano dentro il casco.

 

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